Le diagnosi giungono con un ritardo di almeno tre anni. La malattia allontana dal lavoro metà di chi ne soffre. La fotografia della schizofrenia in Italia a opera del Censis
Sono 245mila in Italia i malati di schizofrenia, malattia mentale ad esordio precoce (tra i 15 e 35 anni), dai sintomi complessi e che può avere effetti dirompenti sul progetto di vita della persona e sull’esistenza di chi le vive accanto. Il Censis, noto istituto di ricerca socioeconomica fondato nel 1964, ha condotto una ricerca sulla condizione di questi malati: «Vivere con la schizofrenia», raccogliendo il punto di vista dei pazienti e dei loro caregiver. Subito il testo evidenzia che quasi la metà (47 per cento) ha lasciato il lavoro e il 34 per cento ha dovuto abbandonare gli studi. E se l’impatto sociale è così pesante sui malati, chiaramente questo peso si traferisce sui compiti di assistenza e i vissuti emotivi di quanti stanno loro intorno, i familiari in primis. Almeno è confortante il rapporto registrato con medici e medicine: il Censis rileva che il 72 per cento è soddisfatto della capacità del medico di coinvolgerlo nelle scelte terapeutiche e circa lo stesso numero è contento dell’efficacia delle terapie.
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UMILIATI E OFFESI
Con tutto ciò, quando si arriva all’aderenza alla cura, le percentuali si abbassano: il 66 per cento dichiara di non scordarsi mai di prendere le medicine e il 20 per cento di prenderle la maggior parte delle volte. Rilevante, poi, il numero di quanti hanno avuto un ricovero nell’ultimo anno: purtroppo le ricadute sono frequenti. Un altro effetto pesante legato alla schizofrenia è la vergogna che chi ne soffre prova. Così il Censis constata tra gli intervistati che il 75 per cento nasconde la propria malattia, il 70 si sente discriminato e il 64 vive nell’apprensione che i sintomi diventino evidenti n certe circostanze.
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SCHIZOFRENIA: NON UNA MA MOLTE MALATTIE
Ma che cos’è questa schizofrenia oggi, oggi che si sono compiuti così tanti progressi nelle terapie psichiatriche? «Intanto non c’è la schizofrenia, bensì le schizofrenie, diverse situazioni di malattie», puntualizza come prima cosa Pierluigi Politi, ordinario di psichiatria all’Università di Pavia. Che, per venire all’oggi, ritiene essenziale richiamare i punti storici dell’identificazione della patologia. E dei suoi sintomi. «A fine Ottocento Emil Kraepelin, psichiatra tedesco, compì l’importante passo di distinguere la demenza dai disturbi dell’umore. E di disegnare un altro disturbo come demenza praecox: demenza perché vi si riscontrava un deterioramento cognitivo inevitabile e praecox, precoce, perché l’esordio appariva nel giovane adulto». Si trattava del’attuale schizofrenia? «Sì - riprende Politi - ma questo nome viene creato pochi decenni dopo da Emil Bleuler, psichiatra svizzero, che modificò anche la visione del disturbo in contrapposizione a Kraepelin: sosteneva che il decadimento cognitivo non è inevitabile e, soprattutto, come sintomo cruciale indicò il venir meno del senso di unicità. Ecco perché il nome schizofrenia, dal greco schizo separo, frantumo, e frenia da fren, mente».
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I SINTOMI DELLA SCHIZOFRENIA
Molti intendono che il senso sia “mente divisa in due” e parlano di sdoppiamento della personalità. «Non è così – replica Perluigi Politi -, il vero senso per Bleuler è mente frantumata. In effetti quando diciamo “io” compiamo una sintesi vertiginosa di tantissimi aspetti cognitivi, razionali, emotivi…. Diciamo: “io quando avevo 6 anni…”, “io domani farò un viaggio…”, “io amo quella persona…” E così via. Oggi come sintomi indichiamo, invece, deliri, allucinazioni, disturbi del comportamento, scadimento del funzionamento lavorativo, relazionale e sociale. Inoltre, per poter porre diagnosi di schizofrenia, occorre che il disturbo continui per un certo tempo e che si possa escludere che quei sintomi siano prodotti da sostanze psicoattive o da lesioni cerebrali come tumore o emorragia cerebrali». Sembra un panorama diverso rispetto ai “padri”. Sorride Politi: «Diciamo che ci siamo superficializzati, se si può dire. Non ci occupiamo più del venir meno del senso di unicità. Anche se, sì, certo, ricorre nel malato il non essere più sicuro che le percezioni che avverte siano sue o non trasmesse da un uomo in divisa che ha visto fuori, che i suoi pensieri sia lui a pensarli o un altro, infine se è Dio che decide o se è lui». E le reazioni? «Paura e sconcerto negli altri e per il malato stesso spavento e angoscia». Ma chi soffre di schizofrenia è violento? «No, delinquono meno della popolazione generale. Però fanno paura per via dei deliri, la gente non capisce…».
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DIAGNOSI TARDIVA
Il Censis segnala che la diagnosi non arriva subito: l’esordio più frequente sarebbe a 23,5 anni, ma il percorso che porta alla diagnosi dura circa 3 anni. Poco più di un paziente su 4 ha ricevuto la diagnosi di schizofrenia alla prima visita e all’opposto c’è un 15 per cento che è stato inquadrato correttamente al quinto controllo medico. «Sì, c’è spesso ritardo nella diagnosi - spiega lo psichiatra pavese - perché l’esordio è subdolo, specie nei giovani non è facile da distinguere da un temperamento ribelle. A volte a scatenare i sintomi è la marjuana oppure il ragazzo, malato, ricorre alla marjuana per cercare di star meglio, come autoterapia. Quindi il quadro è ingarbugliato. D’altro lato c’è necessità di una diagnosi precoce perché prima si interviene e meglio è».
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LE CURE PER LA SCHIZOFRENIA
Veniamo allora alle possibilità di cura. «Come farmaci ci sono gli antipsicotici (impiegati anche nel Parkinson e con le dipendenze da sostanze), che agiscono sul neurotrasmettitore della dopamina. Erano farmaci con pesanti effetti collaterali: davano tremori, rigidità muscolare. Anche per questo erano rifiutati da molti pazienti. Oggi non hanno forti effetti indesiderati e questi, comunque, agiscono per lo più sul sistema endocrino. Provocando, per esempio, aumento di peso». Solo farmaci? «Assolutamente no. Insieme si fanno terapie cognitive, relazionali...
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UN TERZO GUARISCE
Essenziale è che la persona prenda consapevolezza della sua malattia, non la senta estranea, e che impari, quando sta bene, a riconoscere le prime avvisaglie di una nuova ricaduta di modo che si possa intervenire subito». Con quali speranze di salute? Si può sperare nella guarigione oppure è esclusa, ci si deve accontentare soltanto di periodi di relativo benessere? «Certo che si può sperare nella guarigione, oggi - chiosa Politi -. Un terzo dei malati di schizofrenia può guarire completamente in qualche anno di cura. Il fatto è che è tanto difficile convincere questi malati a seguire le terapie. Lo stigma per questa malattia è così forte che anche chi ne soffre ha un rifiuto e facilmente abbandona ogni terapia».
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.