E' dall'attività di un gruppo particolare di neuroni che si genera la dipendenza da alcol. Ecco perché per alcuni è più difficile smettere
Perché ci sono persone incapaci di moderarsi nel bere? Di “vizio” legato all’alcol ormai non parla più nessuno, quindi non è una “cattiva abitudine” che la persona si ostina a perseguire. Si parla invece di una malattia, di un disturbo serio, l’alcolismo (in Usa Aud: disturbo dell’uso dell’alcol). In America, appunto, dove risultano 14 milioni in lotta contro questo tormento, un’équipe di ricercatori collegati con Santa Clara University (California) ha avviato una ricerca su cavie per individuare dove sta il “bottone” che dice stop! quando bevi troppo o che, in altri, dà il via libera a bere, bere, bere. Anche se sai che ti farà male alla salute, nel lavoro, nelle relazioni sociali. Un bere compulsivo, insomma.
COME SI REGOLA IL CERVELLO?
Punto di partenza dell’indagine pubblicata su Biological Psychiatry: molte parti complesse del nostro comportamento – emozioni, gratificazione, motivazione, ansia – sono regolate dalla corteccia cerebrale, gli strati esterni del cervello responsabili di complesse operazioni come prendere decisioni. Diversamente dalle droghe tipo la cocaina, l’alcol ha un largo effetto nel cervello, rendendo in tal modo molto ristretto il “bersaglio” cui dirigere la cura farmacologica. «Vogliamo sapere come il cervello regola normalmente il bere, così da poter rispondere che cosa succede quando questa regolazione non avviene come dovrebbe», ha dichiarato la responsabile della ricerca, professoressa Lindsay Halladay, docente di Psicologia e Neuroscienze al Santa Clara.
LA LEVETTA E LA SCOSSA
Per cominciare un gruppo di topi sono stati allenati a premere una levetta per ottenere una ricompensa in alcol. Dopo questa prima fase, le cavie si sono trovate ad affrontare una situazione conflittuale: premere la levetta per l’alcol e ricevere una minima scossa elettrica ai piedi oppure evitare questo rischio rinunciando all’alcol. Dopo un po’ di tempo, la gran parte delle cavie avevano imparato a sfuggire al dolore ai piedi e scelto di lasciar perdere l’alcol. «Abbiamo individuato un gruppo di neuroni nella corteccia prefrontale mediale che si attivavano quando le cavie si avvicinavano alla levetta, però evitavano di premerla», ha scritto la professoressa Halladay. «Questi neuroni rispondevano soltanto quando il topo non toccava la leva, evidentemente considerando che il prezzo della scossa da pagare fosse troppo alto, mentre non rispondevano quando le cavie sceglievano l’alcol anche al prezzo dello shock.
L’OPTOGENETICA, UNA LUCE SPECIALE
«Questo significa – ha continuato la ricercatrice californiana – che i neuroni da noi identificati potrebbero essere responsabile di mettere il freno al bere quando continuare potrebbe essere dannoso». La corteccia prefrontale mediale gioca un ruolo importante in molte forme di decisioni da prendere e comunica con molte regioni del cervello, così il gruppo del Santa Clara è andato ad esplorare queste connessioni esterne. Per questo si sono avvalsi dell’optogenetica una scienza emergente che combina tecniche ottiche e genetiche di rilevazione, allo scopo di sondare circuiti neuronali all'interno di cervelli intatti di mammiferi e di altri animali. Nel concreto la Halladay e i suoi colleghi sono riusciti a chiudere un preciso percorso cerebrale “sparando” luce sul cervello. Hanno così isolato l’attività delle cellule nella corteccia prefrontale mediale che comunica con il nucleus accumbens, un’area del cervello importante per il sistema della ricompensa e hanno constatato che allora le pressioni + scossa aumentavano.
IL CIRCUITO CHE SPINGE ALL’ALCOL
«L’aver tagliato fuori quel circuito ha fatto tornare la voglia di alcol al di là della paura dell’elettricità», ha concluso la professoressa Lindsay Halladay. «Possiamo ipotizzare la possibilità che il disturbo alcolico origini da una qualche forma di disfunzione in questo circuito». La via per una terapia efficace è ancora lontana, ma quanto mai necessaria, dice la professoressa Halladay: «Circa la metà dei pazienti curati per l’Aud ci ricascano entro un anno». «Sì, è una lotta difficile - conviene Emanuele Scafato, Direttore del centro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la Ricerca e la Promozione della Salute sull'Alcol e blogger di Fondazione Umberto Veronesi -. Tuttavia questa ricerca sembra indicare una strada promettente. Forse - non adesso - con diverse stimolazioni potrebbe venire valutato perché alcuni bevono senza freni e altri no. Servirebbe anche a far capire a tutti che l’alcolista non lo è di sua volontà. Anche in genetica si è visto che alcuni sono predisposti».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.