Sempre più evidente il ruolo della connettività fra le aree del cervello: è da lì che dipendono le funzioni cerebrali ed è lì che nascono creatività e variabilità individuale. Intervista a Michela Matteoli
Non contano tanto le singole aree, ma le loro connessioni: stiamo parlando del cervello e del nuovo modello che i neuroscienziati ne danno. E questa nuova configurazione ci fa meglio capire perché e come i cervelli sono così differenti da un individuo all’altro. La rivista Science ha dedicato un intero numero a questo tema, lo scorso novembre. Uno degli articoli, intitolato Le proprietà emergenti del cervello connesso, riporta gli esiti di una revisione che subito afferma essere pura leggenda metropolitana l’idea che il nostro emisfero destro sia per la creatività e quello sinistro per il pensiero razionale. Quest’idea proviene dalla visione classica del cervello diviso in regioni ognuna con una propria funzione. Invece le funzioni non sono localizzate in singole aree, bensì dipendono dalle connessioni fra di esse. Lo affermano gli autori della ricerca, Stephanie Forkel dell’Università olandese di Nimega e Michel Thiebaut de Schotten dell’Università francese di Bordeaux.
COSÌ LAVORA IL CERVELLO
«Guardiamo al linguaggio come esempio – invita la professoressa Forkel. – Qui il risultato è più grande della semplice somma delle parti. Per comunicare, devi capire molto rapidamente quanto viene detto entro un certo contesto e considerare le intenzioni emotive della persona con cui stai parlando. Se il cervello lavorasse in modo modulare, non ci permetterebbe tutti questi diversi calcoli in un così breve tratto di tempo». Le connessioni possono ampliare o ridurre i segnali cerebrali e determinare la struttura e la funzione del cervello, stando ai neuroscienziati. C’è una forte relazione tra lo schema di connessioni delle regioni cerebrali e la loro attività nel corso di compiti cognitivi.
I BAMBINI PREDISPOSTI ALLA LETTURA
A questo proposito Forkel dice: «Se si guarda al cervello dei bambini prima della loro alfabetizzazione, si vede che la materia bianca, che è costituita da vie nervose, è già connessa con la ‘classica’ area della lettura». Un importante inciampo nella visione classica del cervello modulare sta nel fatto che non riesce a spiegare la variabilità tra individui. «Ciascuno ha una mente che non assomiglia proprio alla descrizione tradizionale che conosciamo. Me ne sono ben accorta quando ho lavorato sui cervelli post mortem. La ricerca di neuroimaging il più delle volte rende i cervelli dei soggetti adatti a un cervello standard, senza riuscire a definire e studiare la variabilità tra le persone. Questo attualmente è un grande argomento di discussione nel campo delle neuroscienze», commenta Stephanie Forkel.
RICADUTE ANCHE SULLA CLINICA
Questa nuova visione sul funzionamento della nostra testa potrebbe ovviamente avere un notevole impatto sulle terapie e i trattamenti. Dice ancora la ricercatrice: «Ci sono pazienti con lesioni cerebrali senza alcun sintomo oppure con sintomi che non ti aspetteresti. In uno studio, abbiamo guardato a come le lesioni avevano un impatto su tutta la rete cerebrale, e abbiamo potuto usare il modello della rete per prevedere che sintomi avesse il paziente o che avrebbe potuto avere dopo un anno».
MICHELA MATTEOLI: “IL TALENTO DEL CERVELLO”
Su questo tema complesso abbiamo chiesto il commento di un’autorità nel campo delle neuroscienze, la professoressa Michela Matteoli, direttore del Neuro Center Humanitas a Milano e dirigente nel Centro nazionale delle ricerche (Cnr), componente del comitato scientifico di Fondazione Umberto Veronesi e in più autrice del bestseller Il Talento del Cervello (ed. Sonzogno). Ecco che cosa ci ha spiegato.
MICHELA MATTEOLI: «LE AREE CEREBRALI NON SONO ISOLE»
«Come dice Aristotele nella sua Metafisica, “il tutto è qualcosa di più delle parti”. Anche per il nostro cervello vale lo stesso. Attraverso la risonanza magnetica con tensore di diffusione o trattografia, possiamo studiare le connessioni tra le varie aree del cervello e attraverso la risonanza magnetica funzionale possiamo investigare l’attivazione funzionale delle varie aree. Si è così scoperto che le aree cerebrali non lavorano in isolamento, ma i circuiti mettono insieme molte regioni cerebrali per dirigere specifiche funzioni».
EFFETTI ANCHE A DISTANZA
«Non è un caso che, in presenza di lesioni, avvenga una improvvisa perdita di funzione in una porzione del cervello localizzata a distanza remota. Questo fenomeno, che si definisce diaschisi, dimostra l'importanza critica delle connessioni nel mantenere l'integrità delle regioni cerebrali distanti e il loro funzionamento».
LE VARIABILI INDIVIDUALI
«Ovviamente esiste una variabilità della connettività da individuo a individuo. Questa “neurovariabilità" è fondamentale per la nostra unicità individuale. Se infatti la connettività funzionale influenza la forza della comunicazione tra le regioni del cervello, ci possiamo aspettare che esistano differenze individuali nell'attivazione del cervello, mentre svolgiamo un compito specifico, a seconda della forza di tali connessioni».
DALLA NEUROVARIABILITÀ DERIVA LA CREATIVITÀ
«Questa variabilità individuale sembra essere alla base di processi quali la creatività o addirittura l’intelligenza. Ad esempio, si è visto che un fascicolo arcuato sinistro più forte (il fascicolo arcuato connette due importanti centri del linguaggio, l'area di Broca e l'area di Wernicke) corrisponde a una maggiore facilità nell'apprendimento di nuove parole, che può caratterizzare in modo evidente le prestazioni cerebrali di un soggetto sano».
LE CONNESSIONI E LE MALATTIE CEREBRALI
«Accade, poi, che le patologie cerebrali amplificano questa variabilità. Per esempio, un fascicolo arcuato più forte facilita il recupero in seguito a ictus, mentre la degenerazione di questa struttura coincide con un importante aumento della gravità dei sintomi. La stessa afasia è stata identificata come una possibile sindrome causata dalla disconnessione di specifiche aree cerebrali, mentre l’incapacità di leggere sembra essere la conseguenza di una disconnessione tra le aree visive e del linguaggio. Le disconnessioni sono quindi sufficienti a disintegrare specifiche funzioni. In questo senso, potrebbe essere estremamente vantaggioso se le misure della connettività cerebrale fossero tradotte in procedure operative standard avanzate per far progredire, finalmente, le neuroscienze personalizzate. Si potrebbe pensare di concentrarsi su procedure di riabilitazione mirata sullo specifico soggetto, per favorire il recupero dei sintomi, fornendo allo stesso tempo nuovi obiettivi per la terapia farmacologica».
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.