La carenza di vitamina D interessa tra il 50 e il 70 per cento dei bambini italiani. L'integrazione è necessaria (per tutti) almeno fino al primo anno di età
La vitamina D ai bambini si dà a partire dalla loro nascita ma fino a quando bisogna fargliela assumere?
(domanda giunta su Facebook)
Risponde Giuseppe Saggese, direttore della clinica pediatrica dell'Università di Pisa
La carenza di vitamina D interessa tra il 50 e il 70 per cento dei bambini italiani: con punte massime in epoca neonatale e adolescenziale. Insufficiente esposizione solare, stili di vita errati, allattamento esclusivo prolungato al seno, obesità e colore della pelle sono i principali fattori di rischio. Le raccomandazioni per prevenire l’ipovitaminosi D stilate nel 2015 dalla Società Italiana di Pediatria, dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale e dalla Federazione Italiana dei Medici Pediatri prevedono la profilassi con vitamina D per tutti i neonati per tutto il primo anno di vita, indipendentemente dall’allattamento. Né il latte materno né quello in formula, seppur addizionato, riescono infatti a soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamina D.
Approfitto della sua domanda per illustrare anche gli altri casi in cui si raccomanda la supplementazione della dieta con vitamina D. La profilassi è inoltre raccomandata a tutte le donne in gravidanza o che allattano, mentre tra il primo e il diciottesimo anno di vita soltanto a bambini e adolescenti a rischio. In questa categoria rientrano i bambini di etnia non caucasica ed elevata pigmentazione, con ridotta esposizione solare, che seguono regimi alimentari inadeguati come la dieta vegana, bambini con insufficienza renale o epatite cronica, obesi, affetti da malattie infiammatorie croniche o da celiachia.
Il primo fattore di rischio per l'ipovitaminosi D è la scarsa esposizione solare, principale fonte di approvvigionamento della vitamina D. Motivo per cui gioco e attività fisica all’aria aperta dovrebbero essere maggiormente incoraggiati soprattutto durante la bella stagione, anche perché da novembre a febbraio l’inclinazione dei raggi ultravioletti è insufficiente a favorire la produzione di vitamina D. L’allattamento al seno esclusivo prolungato senza supplementazione di vitamina D - tipico di alcune culture come quelle araba o africana - è un altro fattore di rischio. Il latte materno, pur essendo l’alimento ideale per il neonato, non contiene infatti quantità sufficienti di vitamina D. A rischio sono pure i bambini obesi, perché il tessuto adiposo «sequestra» la vitamina D e quelli con la pelle scura, che questa non permette ai raggi solari di filtrare.
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