Molte persone reagiscono con paura al pensiero di sottoporsi a uno screening oncologico. Ma in caso di esito positivo, le probabilità di guarire sono più alte
La paura è uno dei più forti determinanti del modo in cui ci rapportiamo alla nostra salute. Può essere la molla che ci spinge a controllarci (arrivando in alcuni casi perfino a esagerare) allo scopo di ottenere una rassicurazione sul nostro stato di salute. O, viceversa, il freno che impedisce di eseguire l’esame per il timore di ciò che potrebbe attenderci.
Nel caso degli screening oncologici, questo fenomeno è stato molto studiato. Nelle donne che si rapportano allo screening per il tumore della cervice uterina o del cancro al seno, per esempio, si è osservato che la principale ragione per cui scelgono di aderire è proprio il timore della malattia e la percezione dello screening come esame di routine. Contemporaneamente, non si sottopongono ai test le donne che temono esami medici, operatori sanitari, test e procedure e che hanno la percezione di stare in buona salute.
Nel caso degli screening oncologici, che in questo periodo marciano a singhiozzo per via della pandemia in corso, il modo migliore per combattere la paura è comprendere quel che ci attende. Per sua natura lo screening è un test che si rivolge a persone sane, e proprio per questo è in genere un test poco o per nulla invasivo. Nella grande maggioranza dei casi, poi, fornisce un risultato negativo che ha un effetto tranquillizzante.
Nei casi in cui si risulti positivi, soprattutto se lo si esegue alle scadenze raccomandate, il più delle volte grazie allo screening si identificano forme precancerose (è il caso dello screening del tumore del collo dell’utero o del colon, che consentono di eliminare le cellule mutate prima che il tumore vero e proprio si sviluppi) o quando la malattia è più facile da curare (come nel caso dello screening per il cancro al seno).