La chirurgia preventiva e la sorveglianza attiva sono le due strategie proposte alle donne che convivono con un rischio più alto di ammalarsi di tumore al seno e all'ovaio
Una donna che si sottopone ai test genetici per verificare la predisposizione a sviluppare tumori non viene mai lasciata sola. Viene appropriatamente informata prima del test e affiancata quando riceve i risultati.
In particolare, dopo aver effettuato l’esame, il risultato viene comunicato nell’ambito di una seconda consulenza con lo specialista oncologo, spesso in presenza di uno psicologo. È in quel contesto che viene spiegato cosa significa esattamente la presenza delle mutazioni, quale è effettivamente il rischio di ammalarsi rispetto alle altre donne, cosa è possibile fare per fronteggiare l’aumento di rischio dato dalle caratteristiche genetiche (per esempio le modalità di sorveglianza o le possibili opzioni di prevenzione, come la chirurgia preventiva).
Durante questo incontro, in genere si discute anche dell’opportunità di comunicare la notizia ai consanguinei e proporre di estendere anche a loro il test genetico. In presenza di una positività al test BRCA, infatti, anche figli (maschi e femmine), fratelli, sorelle e genitori potrebbero presentare la stessa alterazione genetica e, dunque, essere a loro volta esposti a un maggior rischio di sviluppare forme tumorali. Eseguire il test è dunque il presupposto perché anche loro possano avviare appropriate strategie di sorveglianza e prevenzione.
Una donna portatrice di mutazioni BRCA1 o BRCA2, sebbene abbia una probabilità più alta di ammalarsi di cancro, è sana e potrebbe non sviluppare mai alcun tipo di tumore. Piuttosto che ricorrere all’asportazione preventiva del seno può perciò optare per la cosiddetta sorveglianza attiva, vale a dire un piano di controlli ravvicinati che non riduce il rischio di ammalarsi, ma consente di individuare il cancro in fase precoce, quando è più facilmente curabile.
I protocolli di sorveglianza attiva sono scelti sulla base di una valutazione individuale del rischio. Possono comprendere ecografia, mammografia, risonanza magnetica, con una cadenza anche semestrale. A questi si aggiungono in genere test per sorvegliare lo stato di salute delle ovaie. La gestione psicologica della sorveglianza attiva può non essere semplice. Per molte donne la rete di sicurezza rappresentata dai controlli ravvicinati non è sufficiente per spazzare via la paura di ammalarsi di tumore. L’esecuzione di esami a cadenza regolare, poi, può rappresentare una medicalizzazione eccessiva della propria vita.
Si tratta di aspetti che devono essere presi attentamente in considerazione e discussi con il proprio medico e, se possibile, anche con uno psicologo. Nonostante ciò, la ricerca ha osservato che la gran parte delle donne che scelgono la sorveglianza attiva, gradualmente trova un equilibrio e, rispetto al momento dell’esecuzione del test genetico, quando il livello di ansia e paura per il rischio di ammalarsi di cancro è massimo, tendono col tempo a recuperare il benessere psicologico.