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Emanuela Pasi
pubblicato il 04-03-2025

HPV e Carcinoma Squamoso: una nuova terapia fotodinamica



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La creazione di fotosensibilizzatori più efficaci e selettivi per cercare di ridurre le recidive e prevenire il carcinoma squamoso vulvare indotto da Papillomavirus. Lo studio di Gina Elena Giacomazzo

HPV e Carcinoma Squamoso: una nuova terapia fotodinamica

Ridurre le recidive e prevenire l’insorgenza del Carcinoma Squamoso Vulvare maligno associato all’infezione da Papillomavirus umano (HPV): questo l’obiettivo di Gina Elena Giacomazzo, ricercatrice dell’Università di Firenze e vincitrice di un finanziamento di ricerca di Fondazione Veronesi. In particolare, unendo competenze chimiche e mediche, il suo progetto mira a sviluppare un approccio innovativo e meno invasivo, basato sulla terapia fotodinamica per trattare le lesioni precancerose della vulva che nel 50-70% dei casi diagnosticati precedono il tumore maligno.   

 

Elena, come nasce l'idea del vostro lavoro?

L'idea nasce dalla necessità di affiancare alla prevenzione vaccinale per le infezioni da Papillomavirus umano una strategia terapeutica mirata per le lesioni precancerose dell’apparato genitale femminile correlate ad HPV. Tra queste, le lesioni intraepiteliali vulvari sono le meno studiate, ma la loro incidenza è in aumento, soprattutto tra le giovani donne.

Perché avete scelto proprio la terapia fotodinamica?

La terapia fotodinamica è un approccio promettente perché è poco invasivo. Si basa sull’uso di sostanze fotosensibilizzanti che, assorbendo radiazioni luminose per produrre una reazione che agisce in modo mirato sulle cellule tumorali, minimizzano i danni ai tessuti sani. Tuttavia, i fotosensibilizzanti attualmente disponibili presentano dei limiti, come la resistenza al trattamento e la scarsa selettività. Per questo, stiamo sviluppando nuovi fotosensibilizzatori a base di rutenio e osmio, con proprietà fotochimiche e farmacologiche ottimizzate per migliorare il processo.

Quali sono gli aspetti ancora da approfondire?

Vogliamo capire meglio come i nostri fotosensibilizzatori si comportano in un ambiente biologico complesso come quello delle lesioni precancerose. In particolare, vogliamo studiare come le loro proprietà chimico-fisiche influenzano l'assorbimento cellulare e l'efficacia del trattamento. Inoltre, vogliamo valutare l'impatto della terapia sulla carica virale dell'HPV.

Come intendete procedere nel prossimo anno?

Il progetto si articola in tre fasi: la sintesi e la caratterizzazione dei nuovi fotosensibilizzatori, la raccolta di tessuto da pazienti affette da queste lesioni e la creazione di colture cellulari per testare i nostri composti in un contesto biologicamente rilevante. Nel corso dell'anno, selezioneremo le molecole più promettenti e ne ottimizzeremo le prestazioni nella terapia fotodinamica delle lesioni precancerose.

Quali sono le prospettive di questa ricerca?

La nostra ricerca contribuirà a una migliore comprensione del comportamento dei fotosensibilizzatori a base metallica. In questo modo si potrà migliorare la terapia fotodinamica per il trattamento delle lesioni precancerose, offrendo un'alternativa meno invasiva, poco dolorosa e con minori effetti collaterali rispetto ai trattamenti attuali. A lungo termine, questo approccio potrebbe essere esteso anche ad altre patologie neoplastiche o pre-neoplastiche correlate all'HPV, aprendo la strada a terapie più mirate e personalizzate.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro da ricercatrice?

Della ricerca mi entusiasma la continua sfida e la determinazione che richiede. Mi appassiona il fatto che ogni passo avanti, ogni risultato, diventi parte di un quadro più grande e possa contribuire alla crescita collettiva della conoscenza. La collaborazione, la possibilità di imparare costantemente e di contribuire a scoprire soluzioni a problemi complessi sono motivazioni che mi spingono a proseguire questo percorso. La ricerca è un viaggio che, pur essendo spesso faticoso e fatto di prove ed errori, ha il potere di trasformare idee in realtà che possono migliorare la vita delle persone.

Qual è il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?

L'appartenenza alla comunità scientifica: mi sento parte di una rete di persone, ciascuna con le proprie competenze e passioni, che lavorano insieme per cercare di comprendere meglio il mondo. La ricerca è un atto di curiosità e di speranza, un tentativo di risolvere enigmi, di migliorare l'esistenza umana. Ma ciò che più mi motiva è sapere che ciò che facciamo come scienziati non è un'azione isolata, ma una piccola tessera che si aggiunge a un puzzle globale di conoscenza e innovazione.

Cosa pensi del rapporto tra scienza e società in Italia?

Credo che in Italia ci sia una carenza nella valorizzazione della ricerca scientifica. Nonostante l'eccellenza dei nostri ricercatori, spesso non riceviamo l'attenzione e i finanziamenti adeguati. Questo crea un distacco tra scienza e società.

Come concili la tua vita privata con la ricerca?

Nell’ultimo anno, io e il mio compagno, con cui condivido la carriera incerta del ricercatore, abbiamo deciso di diventare genitori e aspettiamo una bambina. La ricerca è una carriera che, pur essendo ricca di passione e soddisfazioni, può risultare instabile e incerta. Tuttavia, crediamo che l’attesa di un figlio rappresenti una nuova sfida, ma anche una motivazione in più per impegnarci e continuare a fare ricerca con dedizione.

Cosa le diresti se volesse intraprendere la tua stessa strada?

Le direi che non esiste strada migliore di quella che la fa sentire viva e appassionata. Nonostante le difficoltà, nella vita non c'è scelta più giusta di seguire ciò che ci entusiasma davvero. La felicità e l'entusiasmo per ciò che facciamo sono la forza di propulsione che ci spinge, e se la ricerca è ciò che la motiva, allora sarà il cammino giusto per lei.

Sei soddisfatta della tua vita?

Mi sento fiera e grata dell’immensa passione e determinazione che metto in tutto ciò che faccio, sia nella vita privata che in quella lavorativa. Ogni passo che compio mi aiuta a crescere, e sono serena nel sapere che ciò che verrà sarà sempre frutto del mio impegno. La felicità per me risiede nell’affrontare ogni sfida con consapevolezza, sapendo che, indipendentemente dai risultati, sto dando il meglio di me stessa.

Chi ti ha ispirata?

I miei nonni Maria e Salvatore, che sono stati i miei grandi esempi di vita. Da mia nonna ho imparato l’importanza della Gentilezza, mentre da mio nonno ho imparato il valore della Fortezza di Spirito. I ricordi a me più cari da bambina sono legati ai miei nonni.

Qual è il film che più ti rappresenta?

Forrest Gump, senza dubbi. È un film che, pur nella sua delicatezza, trasmette con grande forza il messaggio che la perseveranza e la caparbietà sono davvero le chiavi del successo.

Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

Donare a sostegno della ricerca scientifica è un atto di grande solidarietà e un investimento nel futuro. La ricerca scientifica è un lungo percorso pieno di ostacoli che spesso necessita di ingenti finanziamenti per poter essere portato avanti, ma rappresenta una possibilità concreta per sviluppare nuove terapie in grado di curare malattie un tempo incurabili e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di sostenere la ricerca scientifica?

Alle persone che scelgono di donare alla ricerca scientifica vorrei dire che il loro contributo è davvero prezioso. La ricerca ha bisogno di supporto per proseguire e progredire e, grazie alla loro generosità, possiamo continuare a lavorare su soluzioni innovative. Da ricercatrice, desidero esprimere la mia sincera gratitudine a ciascun donatore, il cui sostegno rende possibile a noi ricercatori di portare avanti le nostre ricerche in Italia. Le loro donazioni non solo supportano il nostro lavoro quotidiano, ma alimentano anche la speranza per il futuro.


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