I tumori del pancreas richiedono nuove strategie terapeutiche per migliorare la prognosi. I virus oncolitici rappresentano un’opzione promettente: il progetto di Evelyne Tassone
In Italia, in cinque anni, i nuovi casi di tumore del pancreas sono aumentati del sei per cento: da 12.700 (2014) a 13.500 (stima per il 2019). Questo tumore presenta una elevata aggressività e una prognosi ancora sfavorevole, venendo spesso diagnosticato in forma metastatica (in quasi 1 caso su 2). La sua aggressività, in particolare, è legata a due ragioni: la velocità di disseminazione delle cellule cancerose e la posizione dell'organo (posteriore allo stomaco e circondato dalla milza, dal fegato e dall'intestino tenue), che lo rende difficile da studiare con l'ecografia.
Il tumore del pancreas è inoltre una malattia complessa sotto il profilo molecolare e cellulare e spesso presenta si presenta «refrattaria» alla chemioterapia. Un ostacolo, quest'ultimo, che rende difficile il ricorso alla chirurgia (possibile soltanto in circa un quinto delle diagnosi) con forti ripercussioni sulle probabilità di superare la malattia.
Per questi motivi è necessario sviluppare nuove strategie terapeutiche e farmaci che siano in grado di contrastare la malattia e fornire opzioni mediche efficaci. Su questa neoplasia si concentra il lavoro di Evelyne Tassone, biologa e ricercatrice presso l’Istituto Pasteur Italia, Fondazione Cenci Bolognetti (Roma), grazie al sostegno di una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Evelyne, raccontaci il progetto del quale ti occuperai nel 2020.
«I tumori del pancreas costituiscono la quarta causa di mortalità legata ai tumori nel mondo occidentale. Le opzioni terapeutiche prevedono chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Ma la prognosi è spesso sfavorevole e la sopravvivenza dopo una diagnosi è ancora bassa rispetto ad altri tumori. Nel mio progetto proverò a utilizzare una nuova strategia terapeutica per il trattamento dei tumori del pancreas basata sui virus oncolitici».
Di cosa si tratta esattamente?
«A differenza dei virus comuni, i virus oncolitici infettano e uccidono le cellule tumorali in modo specifico, lasciano intatte le cellule sane e sono in grado di indurre una risposta immunitaria contro i tumori contribuendo alla loro eradicazione».
Si tratta quindi di un’arma selettiva contro i tumori, giusto?
«Sì. Tuttavia le cellule tumorali possono sviluppare resistenza ai virus e non rispondere al trattamento. Il progetto prevede di identificare quali siano i geni coinvolti nella resistenza delle cellule tumorali del pancreas ai virus oncolitici, utilizzando un approccio combinato di biologia cellulare, molecolare e bioinformatica».
Quali informazioni vorresti ottenere, conoscendo i geni coinvolti in questo meccanismo?
«L’analisi dell’intero genoma di cellule resistenti consentirà di individuare geni che, quando mutati, sensibilizzano le cellule al trattamento. Identificarli consentirà in futuro di selezionare in modo specifico i pazienti con tumori resistenti e utilizzare combinazioni appropriate di virus e farmaci. In altre parole, si potrà aumentare la personalizzazione del trattamento, aumentandone l’efficacia e i benefici clinici».
Evelyne, raccontaci di te. Sei mai stata all’estero per lavoro?
«Ho trascorso l’ultimo anno di dottorato alla New York University. Volevo acquisire nuove competenze di laboratorio e vivere un periodo della mia vita all’estero. Poi, una volta ottenuto il dottorato all’Università di Padova, ho deciso di ritornare a New York anche per il post-dottorato, città dove ho vissuto in totale quasi sette anni».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«È stata un’esperienza di vita e di lavoro molto ricca e intensa, impossibile da riassumere in poche parole. Ho imparato a gestire le difficoltà in modo autonomo, contando solo sulle mie forze. Ho acquisito un’apertura mentale che prima di partire non avevo. Ho instaurato solide amicizie che durano tuttora, nonostante la distanza. New York è molto altro, una città caotica e frenetica, che davvero non si ferma mai».
Ricordi il momento in cui hai capito di voler diventare ricercatrice?
«Ho scelto di dedicarmi a scienza e ricerca per soddisfare la mia innata curiosità e riuscire a dare risposte a quesiti irrisolti. Quando ho iniziato a lavorare in laboratorio durante il tirocinio di laurea ho avuto il primo confronto con il mondo della ricerca. Lì ho deciso che avrei continuato in questa direzione».
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
«L’entusiasmo che provo quando mi rendo conto di aver trovato qualcosa di nuovo, ancora sconosciuto e inesplorato. Una sensazione molto bella per chi fa ricerca, ma anche abbastanza rara».
E cosa eviteresti volentieri?
«L’eccessiva competizione e la difficoltà nel reperire e garantire fondi per i gruppi di ricerca, entrambi aspetti controproducenti, soprattutto a lungo termine».
In che modo, secondo te, potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza?
«Si potrebbe finanziare di più la ricerca scientifica a livello nazionale, semplificando l’accesso ai fondi e snellendo alcune procedure burocratiche per rendere la vita dei ricercatori meno complicata. Si potrebbero anche incentivare e facilitare le attività di divulgazione scientifica, rivolte sia ai ragazzi che agli adulti, per avvicinarli alla figura dei ricercatori».
Dove ti vedi fra dieci anni?
«Ancora in laboratorio. O comunque a parlare di scienza».
Hai delle figure che ti hanno ispirato nella vita?
«Tre: i miei genitori e il mio compagno. Mi hanno insegnato a reagire sempre di fronte alle difficoltà».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«L’insegnante. Oppure avrei aperto una libreria».
Cosa fai nel tempo libero?
«Sono una grande camminatrice, mi piace nuotare, ascoltare musica e leggere».
Hai qualche viaggio nel cassetto?
«Vorrei visitare il Giappone e il Cile».
A cena con un personaggio famoso: chi sarebbe, e cosa ti piacerebbe chiedergli o chiederle?
«Avrei voluto incontrare David Bowie. Gli avrei chiesto come sia riuscito ad anticipare i tempi e si sia ciclicamente “re-inventato” nel corso della sua lunga carriera, creando musica sempre nuova. Trovo che in questa sua capacità ci siano molte similitudini con il lavoro degli scienziati più geniali».