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Agnese Collino
pubblicato il 23-01-2017

Una dieta contro i deficit cognitivi causati dallo stress



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Lo stress può mettere a rischio le nostre capacità cognitive: Gustavo Provensi vuole comprendere in che modo l’alimentazione possa contrastare questo processo

Una dieta contro i deficit cognitivi causati dallo stress

L’esposizione allo stress durante lo sviluppo e la vita adulta è un fattore di rischio per la salute, poiché compromette le capacità cognitive e aumenta l’ansia. L'alimentazione influenza il tono dell’umore e modula la percezione di eventi stressanti, contribuendo quindi alle risposte comportamentali allo stress stesso. Quindi, una nutrizione bilanciata è un fattore chiave per un buon stato di salute nel corso della vita, non solo dal punto di vista metabolico, ma anche per quanto riguarda la salute mentale. Da sempre attenta all’importanza dell’alimentazione per la nostra salute, la Fondazione Umberto Veronesi ha scelto di sostenere il lavoro di Gustavo Provensi, farmacologo brasiliano in forze al Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino (NEUROFARBA) dell’Università degli Studi di Firenze. La sua ricerca è parte di un progetto internazionale che nel suo complesso intende studiare il rapporto tra abitudini alimentari e declino cognitivo indotto da stress, per capire come la nutrizione nel corso della vita può migliorare la salute psichica durante l’età adulta e l’invecchiamento. 

Gustavo, dicci di più sul tuo progetto di ricerca: quali prospettive aprirà per la salute umana?

«Il nostro lavoro parte da modelli preclinici. Analizzeremo, in animali adulti che durante lo sviluppo siano stati sottoposti a uno stress moderato, l’effetto che una dieta arricchita con acidi grassi polinsaturi omega-3 e vitamina A (presenti in alcuni alimenti comuni come il pesce e i vegetali giallo-arancioni) esercita sulle risposte comportamentali in test cognitivi e in test che valutano il livello di ansia. L’obiettivo è verificare se la dieta può prevenire i deficit cognitivi e l’insorgere di una condizione ansiosa e identificare i meccanismi cellulari e molecolari nel cervello (con particolare attenzione al sistema istaminergico centrale) che modulano positivamente le funzioni cognitive deteriorate dallo stress. Queste nuove informazioni aggiungeranno sicuramente un tassello prezioso nella comprensione di come l’alimentazione può preservare la nostra salute». 

Gustavo, da quanti anni lavori all’estero? cosa ti ha spinto a lasciare il tuo paese, il Brasile?

«La mia prima esperienza di ricerca all’estero è stata nel 2006, quando ho avuto la possibilità di effettuare uno stage presso l’Università di Buenos Aires, Argentina. Inoltre, dal 2010 svolgo le mie attività di ricerca l’Università degli Studi di Firenze. La decisione di fare il primo soggiorno all’estero era legata al mio programma di ricerca: volevo realizzare degli esperimenti per corroborare i dati che avevo osservato nel mio laboratorio in Brasile. Per quanto riguarda il dottorato, ero sicuro di volerlo realizzare all’estero ma non sapevo dove. Tramite un ex-collega, che era già studente di dottorato a Firenze, ho avuto l’opportunità di fare un colloquio all’Università con il Prof. Blandina, e ho preso la decisione di spostarmi in Italia». 

Cosa ti hanno lasciato queste esperienze? Ti è mancata casa?

«Dal punto di vista scientifico credo sia importantissimo realizzare un’esperienza all’estero, per confrontarsi, imparare cose nuove e crescere, come persona e come scienziato. L’unico lato negativo è la mancanza della famiglia e degli amici. In portoghese abbiamo una parola che definisce con precisione questa sensazione: saudade! Come scrisse Cecilia Meireles, “Quando penso em voce, fecho os olhos de saudades”: quando ci si ricorda dei momenti in famiglia, dei profumi di casa, degli amici, dei colori, basta chiudere gli occhi per sentire questa “mancanza”. Ma devo anche dire che qui ho trovato amici che per me sono una vera famiglia». 

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Già dall’inizio del corso di laurea ero molto affascinato dal mondo dei prodotti naturali come potenziale fonte di nuovi medicinali. Credevo, all’epoca, che la panacea fosse nascosta nella Natura. Strada facendo, verso la conclusione della laurea, ho capito che mi piaceva la farmacologia pura: poter conoscere nei dettagli i meccanismi delle patologie e dei farmaci, e con queste informazioni poter identificare nuove strategie terapeutiche». 

Come ti vedi fra dieci anni?

«È una domanda molto difficile: l’attuale situazione della ricerca italiana non ci permette di fare piani per più di 12 mesi. Viviamo nel costante stress della necessità di fondi per continuare la carriera che abbiamo scelto. Io però sono una persona ottimista: tra 10 anni mi immagino coordinatore di un gruppo di ricerca». 

Pensi che la scienza e le ricerca abbiano dei “lati oscuri”?

«Uno dei principali problemi nella scienza è il comportamento poco etico da parte di alcuni scienziati. Purtroppo negli ultimi anni l’ambito accademico mondiale ha affrontato problematiche, come il plagio e la falsificazione dei dati, molto meno diffuse qualche anno fa. Credo che le continue pressioni sui ricercatori per pubblicare ad alto impact factor e nel minor tempo possibile (per poter ottenere finanziamenti) sia uno dei fattori alla base di questo problema». 

Cosa ne pensi dei “complottisti” e delle persone contrarie alla scienza per motivi “ideologici”?

«Credo che tutte le persone abbiano diritto ad una propria opinione, ma che questa debba essere basata su argomentazioni concrete e non su frasi del tipo: “l’ho letto su un sito, non mi ricordo quale…”. Credo che l’unico metodo per contrastare queste situazioni sia la diffusione di informazioni per formare una nuova generazione scientificamente acculturata. Allo stesso tempo, noi scienziati dovremmo imparare a comunicare anche con le persone non “addette ai lavori”, in modo che queste colgano l’importanza del nostro lavoro e acquistino fiducia nei nostri confronti». 

Cosa fai nel tempo libero?

«Amo la fotografia e il cinema. Se non avessi fatto il ricercatore mi sarebbe piaciuto lavorare in qualche ambito creativo». 

Se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Sarei innanzitutto molto orgoglioso: vorrebbe dire che sono stato di buon esempio. Gli direi che è una carriera affascinante, che sono mille le possibilità nel mondo della ricerca scientifica. Gli insegnerei che deve avere sempre una posizione etica, e che la strada più facile di solito porta a risultati sbagliati. Gli spiegherei che è un percorso duro e lungo, che avrà tante delusioni, e che quindi è importante pensare alle piccole soddisfazioni per non mollare e raggiungere gli obbiettivi. Tuttavia in Italia gli ostacoli per le famiglie arcobaleno sono tanti: ecco perché non so se avrò mai la possibilità di avere dei figli. Anche se resto ottimista per il futuro». 

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commosso?

«Quando ho visto il documentario “Di fatto famiglie” su Real Time. Perché ci ha svelato con grande naturalezza che esistono molti tipi di famiglia e che la definizione “famiglia è dove c’è l’amore” è quella più corretta».

Con quale personaggio famoso ti piacerebbe andare a cena una sera? Di cosa parlereste?

«Pedro Almodovar: mi piacerebbe sapere di più sulla sua storia e da dove prende ispirazione per i suoi film».

@AgneseCollino


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