Le fosfodiesterasi sono enzimi importanti per la produzione degli ormoni sessuali. Federica Barbagallo vuole chiarire il loro ruolo nei tumori al testicolo
I testicoli sono gli organi dell’apparato genitale maschile responsabili della produzione degli spermatozoi e di alcuni ormoni, come il testosterone. Il cancro al testicolo insorge in seguito a un’alterazione delle cellule presenti, che vanno incontro a proliferazione incontrollata con conseguente formazione della massa tumorale. Questa neoplasia viene classificata in due sottotipi in base al tipo di tessuto colpito: i seminomi, che derivano dalla trasformazione maligna delle cellule germinali che producono gli spermatozoi, e i non seminomi, che si sviluppano da cellule di altri tessuti delle gonadi.
La prognosi e il trattamento della malattia dipendono sia dal tipo di tumore che dalla fase in cui è diagnosticato. Nella maggior parte dei casi, la terapia di elezione è l’orchiectomia, ovvero l’asportazione completa del testicolo, che può essere preceduta o seguita da chemioterapia. Il tumore al testicolo è curabile con ottimi risultati in più del 90 per cento dei casi, e dunque la ricerca oncologica punta ora a sviluppare trattamenti mirati ed efficaci per contenere gli effetti collaterali e aumentare la qualità di vita dei pazienti.
In questa direzione si concentra il lavoro di Federica Barbagallo, biologa dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, supportata da un finanziamento di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto SAM-Salute al Maschile.
Federica, vuoi dirci qualcosa di più sul tuo progetto?
«Le cellule dei nostri tessuti contengono delle proteine specifiche, gli enzimi cellulari, in grado di facilitare le reazioni biologiche. Gli enzimi sono implicati in numerosi processi biochimici e svolgono una funzione specifica a seconda del tessuto in cui si trovano. Nei testicoli, per esempio, un ruolo di rilievo è svolto dalle fosfodiesterasi».
Qual è la funzione di questi enzimi?
«Gli ormoni sessuali maschili, o androgeni, vengono sintetizzati da cellule specializzate dei testicoli chiamate cellule di Leydig. All’interno di queste cellule, le fosfodiesterasi regolano la produzione degli ormoni attraverso l’inattivazione dei nucleotidi ciclici, piccole molecole fondamentali nelle reazioni di sintesi degli androgeni».
Qual è quindi l’obietto della tua ricerca?
«Studi recenti hanno dimostrato che esiste una correlazione tra una maggiore espressione delle fosfodiesterasi e lo sviluppo del cancro al testicolo. Con il mio progetto vorrei chiarire il loro ruolo nella genesi di questa neoplasia».
E come lo stai valutando?
«Prima di tutto ho analizzato l’espressione di questi enzimi nelle cellule di Leydig. Successivamente valuterò l’effetto di farmaci in grado di inibire le fosfodiesterasi sulla proliferazione delle cellule cancerogene per determinare il loro ruolo nello sviluppo del tumore».
Quali sono le prospettive future per la cura dei pazienti?
«L'incidenza dei tumori testicolari a cellule di Leydig è in forte aumento nei giovani adulti e l'unico trattamento, a oggi, consiste nell'orchiectomia. Gli inibitori farmacologici delle fosfodiesterasi potrebbero rappresentare un approccio terapeutico promettente grazie alla loro elevata specificità e alla loro bassa tossicità».
Dopo il dottorato, hai trascorso due anni all’Università di Davis in California. Cosa ti ha spinto a partire?
«La voglia di imparare nuove tecniche e di confrontarmi con una realtà lavorativa diversa».
E cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Dal punto di vista professionale, ho imparato nuove metodologie e tecniche scientifiche. Ma soprattutto ho capito l’importanza di un contesto lavorativo coeso per massimizzare i risultati. Dal punto di vista personale ho imparato a credere in me stessa e nelle mie capacità e ho conosciuto persone con culture diverse, con cui ho instaurato dei rapporti forti e sinceri. Non c’è un ricordo di quel periodo che non mi strappi un sorriso».
Quando hai capito che saresti diventata una scienziata?
«La scintilla è scoccata al liceo, mi ricordo di aver pensato: “Devo fare la ricercatrice!”. La cellula, il crearsi di una vita. Non penso ci sia niente di più perfetto al mondo».
Oggi che hai realizzato il tuo sogno, cosa ti spinge ad andare avanti?
«Mi impegno ogni giorno al massimo per fare la differenza e rendere orgogliosa mia figlia».
C’è un momento della tua vita professionale che ricordi con particolare emozione?
«Quando ho ricevuto l’email di Fondazione Umberto Veronesi che mi comunicava di aver ottenuto il finanziamento. L’ho dovuta leggere diverse volte prima di realizzare che non stavo sognando».
E qualcosa che invece vorresti cancellare?
«Assolutamente nulla, le cose meno piacevoli le scordo ogni volta che entro in laboratorio».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Mi piacerebbe aver un mio gruppo di lavoro e riuscire a trasmettere ai più giovani la voglia di fare ricerca».
Ci sono state delle figure di riferimento che ti hanno guidato nel tuo percorso di crescita?
«I miei genitori, che hanno creduto in me e mi appoggiato tutte le scelte fatte».
Federica, cosa fai nel tempo libero?
«Mi dedico alla famiglia e, appena posso, viaggio. Credo sia il modo migliore per aprire la mente».
Hai una bimba di 2 anni. Come reagiresti se un giorno ti dicesse che vuole fare la ricercatrice?
«Mia figlia riconosce già il Dna e vuole venire con me in laboratorio, direi che ha la strada segnata e non potrei dirle altro che seguire le proprie aspirazioni».
Quando è stata l’ultima volta che hai pianto?
«Qualche tempo fa, per la perdita di un amico».
Qual è la cosa che temi di più?
«Riporre fiducia nelle persone sbagliate, perché la delusione sarebbe davvero enorme».
E cosa invece ti fa ridere a crepapelle?
«Mia figlia che inventa neologismi come MARCObaleno o BRUCOcacao».
C’è una cosa che vorresti assolutamente fare nella tua vita?
«Visitare l’Australia».
Raccontaci una pazzia che hai fatto.
«Un viaggio di 900 chilometri da Sacramento a Las Vegas e ritorno in un weekend».
Se potessi scegliere un qualsiasi personaggio famoso, con chi ti piacerebbe andare a cena e cosa vorresti chiedergli?
«Avrei desiderato conoscere il premio Nobel Rita Levi-Montalcini. Non le avrei chiesto nulla, ma avrei voluto ascoltare i racconti della sua vita».