Il metabolismo dei lipidi sembra essere implicato nella resistenza alle terapie con cisplatino nei tumori dell’ovaio. Daniela Catanzaro ne studia il meccanismo molecolare
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, la resistenza farmacologica al trattamento chemioterapico continua a essere una delle principali cause del fallimento della terapia antitumorale. Le conseguenze sono una maggior probabilità di comparsa di ricadute, che può in ultima istanza portare anche alla morte del paziente. Il cisplatino è un noto chemioterapico utilizzato nel trattamento di numerosi tumori solidi. Viene generalmente impiegato soprattutto per trattare tumori contro cui non sono a disposizione farmaci più mirati o selettivi, per esempio il carcinoma dell’ovaio. Purtroppo, nonostante l’efficacia del cisplatino sia ampiamente riconosciuta, il suo utilizzo in terapia è limitato dalla gravità dei suoi effetti collaterali e dall’insorgenza della farmaco-resistenza. Quali sono i meccanismi molecolari coinvolti? Capirli è fondamentale per impostare in anticipo il trattamento che ha più possibilità di risultare efficace il più a lungo possibile. Daniela Catanzaro si occupa proprio di questo, sostenuta nel suo lavoro da una borsa di ricerca Pink is Good.
Daniela, ci racconti la tua ricerca più nei dettagli?
«Il mio lavoro parte dall’osservazione che le cellule di carcinoma ovarico resistenti al cisplatino utilizzano preferenzialmente il metabolismo dei lipidi, rispetto a quello degli zuccheri, per sostenere la loro più rapida proliferazione cellulare, a differenza delle cellule ancora sensibili al trattamento».
Quindi, l’alterazione del metabolismo energetico potrebbe essere uno dei fattori scatenanti della resistenza?
«E’ l’ipotesi di lavoro del mio progetto, e io ne voglio indagare i meccanismi molecolari. Sto studiando il metabolismo dei lipidi in diverse linee cellulari di tumore ovarico resistenti al cisplatino, per identificare nuovi bersagli da colpire per ripristinare l'attività del farmaco».
Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per le pazienti affette da tumore ovarico?
«La mia speranza è che i risultati portino allo sviluppo di nuove terapie d’associazione capaci di prevenire o contrastare l’insorgenza della resistenza al cisplatino aumentando così l’aspettativa di vita delle pazienti».
Perché hai scelto la strada della scienza?
«Credo che ognuno di noi conosca almeno una persona che sia stata o sia malata di tumore. Con l’ingenuità dei primi anni di università, mi ripromisi che un giorno avrei scoperto la cura per questo terribile male. Ovviamente negli anni ho constatato che fare ricerca non è una così banale, ma spero comunque che il mio contributo possa essere utile nell’avanzamento delle scoperte in ambito oncologico».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Ogni giorno una nuova sfida. Un puzzle da risolvere. Alle volte un po’ frustrante, ma quando finalmente ottieni un risultato positivo, la soddisfazione ricompensa tutte le fatiche».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Il vivere ogni giorno senza sapere che ne sarà del mio futuro. Vorrei poter studiare e fare ricerca senza preoccuparmi di ogni singolo euro che viene speso».
Quali sono i lati oscuri della ricerca?
«Spesso l’ambizione e l’arrivismo spiazzano serietà e rigore scientifico a discapito dei pazienti».
Se un giorno tuo figlio ti dicesse di voler fare il ricercatore, come reagiresti?
«Sarei orgogliosa e spaventata allo stesso tempo. Ad oggi la carriera del ricercatore non è né semplice né sicura in termini di prospettive. Ma ovviamente lo incoraggerei a portare avanti i suoi sogni.
Una cosa che vorresti fare almeno una volta nella vita.
«Il giro del mondo».
Un ricordo a te caro di quando eri bambino.
«Uno? Ce ne sono molti. I viaggi in camper con la mia famiglia. Le partite a carte con la nonna. Le lotte con mio fratello. Nascondino con gli amici. Le coccole con la mamma. Per un bambino ogni momento sereno è un bel ricordo».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.