Due molecole di origine vegetale (eugenolo e spermidina) nella nostra dieta potrebbero aiutare a prevenire i tumori del colon-retto. La ricerca di Francesca Truzzi
Gli alimenti di origine vegetale nella dieta possono aiutare a ridurre il rischio di sviluppare un tumore del colon-retto. Francesca Truzzi, ricercatrice sostenuta da una borsa di ricerca Fondazione Umberto Veronesi, racconta il suo studio su spermidina e eugenolo.
LA DIETA E I TUMORI COLORETTALI
Il tumore del colon-retto, la porzione finale del tratto digerente, è il primo per insorgenza nella popolazione italiana, con circa 50.000 nuove diagnosi ogni anno. Grazie anche alle tecniche di screening (come la ricerca del sangue occulto nelle feci, che può essere approfondita dalla colonscopia) il tasso di sopravvivenza per la malattia è in crescita e sono quasi mezzo milione gli italiani che vivono dopo aver affrontato un tumore del colon-retto: un numero in aumento ogni anno. Oltre agli esami specifici della prevenzione “secondaria”, anche l’alimentazione gioca un ruolo di primo piano nella cosiddetta prevenzione “primaria” ed è fondamentale per ridurre il rischio di sviluppare questa patologia. Una dieta eccessivamente ricca di zuccheri semplici e di carni lavorate può favorire l’insorgenza di meccanismi infiammatori, aumentando il nostro rischio personale; altri alimenti, come quelli di origine vegetale, possono invece avere funzioni protettive per il nostro tratto intestinale.
Francesca Truzzi, biologa e ricercatrice presso l’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, si occupa di studiare due molecole di origine vegetale che potrebbero svolgere un ruolo di prevenzione antitumorale nella nostra dieta. Il suo lavoro verrà sostenuto da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi per il 2021.
DALLA RICERCA ANTI-COVID A QUELLA CONTRO I TUMORI
Francesca, raccontaci del lavoro. Da dove nasce il tuo progetto?
«La mia idea nasce all’interno dal progetto di ricerca europeo chiamato SPIN (“SPermidin and eugenol INtegrator for contrasting incidence of coronavirus in EU population”) finanziato dallo European Institute of Innovation &Technology. Ho avuto la responsabilità di svolgere dei test di efficacia di un integratore, in funzione anti-Covid-19, su diverse linee cellulari. Studiando la letteratura ho realizzato che i due componenti dell’integratore, l’eugenolo e la spermidina, avevano proprietà antitumorali. Ho quindi pensato di estendere la mia attività di ricerca non solo per la loro attività antivirale, ma anche per un possibile ruolo di prevenzione del tumore al colon, dato che sia entrambi sono presenti negli alimenti».
In che modo vorresti provare questa funzione?
«La prima domanda a cui rispondere è se eugenolo e spermidina, che singolarmente inducono autofagia nelle cellule (una tipo di morte cellulare “programmata”, ndr), agiscano in maniera sinergica o antagonista su cellule di tumore al colon. In altre parole vorrei capire se nella loro azione questi due integratori si potenziano a vicenda oppure no. In secondo luogo, occorre valutare le concentrazioni alle quali i due principi attivi agiscono sulle cellule tumorali, così da capire il loro ruolo preventivo in una dieta alimentare».
PREVENZIONE E SUPPORTO ALLE TERAPIE
C’è altro?
«Una volta risposto a queste due domande, potremmo inoltre valutare se sia possibile utilizzare questi principi attivi come adiuvanti della chemioterapia, ovvero come integratori alimentari che aiutino l’azione dei farmaci antitumorali già esistenti».
Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?
«Inizierò studiando gli effetti della spermidina estratta dal germe di grano e combinata con l’eugenolo sulla riduzione della vitalità del cancro del colon e sulla loro capacità di attivazione dell'autofagia in modelli cellulari di cancro del colon in vitro. In secondo luogo, vorrei verificare se l’integratore a base di spermidina ed eugenolo (EIT_viral) abbia un potenziale effetto nel ridurre la progressione del cancro al colon. Per gli studi utilizzerò degli sferoidi in vitro e un modello tridimensionale di intestino che simuli una condizione di cancro del colon; questo permetterà di ottenere risultati preliminari sui possibili effetti della spermidina e dell'eugenolo prima di utilizzare modelli animali in vivo o esseri umani».
LE SPERANZE PER IL FUTURO
Quali prospettive sono le prospettive a lungo termine per la salute umana?
«Se gli esperimenti dovessero dare risultati positivi, potrebbe essere interessante sviluppare delle specifiche diete preventive contro il cancro al colon ricche di questi due composti. Entrambi sono infatti di origine naturale: l'eugenolo è presente in grandi quantità nell’olio essenziale di chiodi di garofano ed è presente nella cannella, mentre la spermidina è abbondante nel germe di grano, nelle farine di frumento integrali, nel tofu e nella soia fermentata. Una dieta antitumorale specifica potrebbe aiutare a ridurre la progressione o contribuire a evitare delle recidive nei pazienti».
LA PASSIONE PER LA RICERCA
Francesca, sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?
«Sì, per un anno presso il dipartimento di dermatologia della Boston University, negli Stati Uniti. Mi ha spinto la voglia di crescere dal punto di vista professionale e confrontarmi con ricercatori internazionali ed esperti di tumore e biologia cellulare».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza, sia in positivo che in negativo?
«Un grande background di conoscenze, oltre ad avere migliorato la mia autostima: vivere per un anno in un Paese straniero, a migliaia di chilometri da casa, fa crescere e rende consapevoli dei propri mezzi. Francamente non mi è mancata l’Italia e anzi ho avuto problemi di nostalgia degli Stati Uniti e dell’esperienza fatta come ricercatrice».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Fin da piccola ho avuto una passione per la ricerca e le scienze biologiche. Per i miei dieci anni, mio nonno mi regalò un piccolo microscopio che ancora conservo e che ricordo come uno dei più bei regali mai ricevuti».
Un momento della tua vita professionale da incorniciare e uno da dimenticare
«Il momento più bello della mia vita professionale è stato quando sono riuscita a realizzare il primo modello di colture cellulari tridimensionali dopo averci lavorato per più di un anno. Il momento da dimenticare è quando, rimasta incinta, sono stata discriminata per il mio stato e allontanata da tutte le attività, anche da quelle che avrei potuto svolgere in ufficio».
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
«La parte più eccitante della ricerca è che non ha mai fine e ogni risultato inevitabilmente porta a un nuovo esperimento e a nuove conoscenze, che richiamano a loro volta altri esperimenti e altra ricerca. Questo senso di progressione e la sensazione di poter dare il proprio contributo per aiutare il prossimo mi fa entrare ogni giorno in laboratorio con il sorriso».
«TROPPA BUROCRAZIA E RICERCA DA SVECCHIARE»
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La burocrazia, la odio. Dover fare un ordine di consumabili è un incubo, fatto di carte, di inutili documenti e di inutili arrabbiature contro un sistema kafkiano. Ho calcolato che in una settimana lavorativa perdo almeno una giornata per fare gli ordini del materiale che mi serve in laboratorio».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale e professionale
«Rita Levi Montalcini, forse la più grande scienziata italiana. Una donna estremamente caparbia, in un’epoca dove alle donne non ci era concesso fare le ricercatrici. Questo è forse uno dei suoi insegnamenti più grandi».
In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?
«La scienza in Italia è ancora molto ancorata a pensieri arcaici sia per quanto riguarda l’inclusione dei giovani sia per quanto riguarda la parità di genere. Le nostre università, e una gran parte degli enti di ricerca pubblici e privati, vedono nelle figure chiavi prevalentemente uomini. Inoltre, anche per i giovani le prospettive di carriera spesso sono lunghe e percepite come irraggiungibili. Il sistema andrebbe riformato dallo stato e dalle istituzioni, cercando maggiormente di investire sul settore e promuovendo una maggiore cultura scientifica».
Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?
«Penso che mediamente nei confronti della scienza ci sia un atteggiamento ambiguo: quando tutto va bene, lo scienziato è visto come un “azzeccagarbugli”. Però appena le cose si mettono male, come nel caso dell’attuale pandemia, gli italiani non fanno che sperare che gli scienziati li salvino dal pericolo».
Cosa fai nel tempo libero?
«Nel tempo libero mi dedico ai miei due figli».
Se un giorno ti dicessero di voler diventare dei ricercatori, come reagiresti?
«Me lo hanno già detto! Non so se lo penseranno anche da grandi, ma la cosa mi ha reso molto felice».
«CHIEDEREI A CONTE COSA INTENDE FARE PER LA RICERCA SUL CANCRO»
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?
«Mi piacerebbe andare a cena con il Presidente del Consiglio e chiedergli se intende fare qualcosa per la ricerca sul cancro in Italia».
Il libro che più ti piace o ti rappresenta?
«La mia Africa».
Un ricordo a te caro di quando eri bambino.
«La mia nonna e le sue carezze».
OGNI DONAZIONE, UNA SPERANZA
Prima di salutarci, cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Ricorderei una frase di Albert Einstein che mi ha molto colpito: “Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di donare e non in ciò che è capace di prendere”. Ogni donazione ricevuta dalla Fondazione Veronesi che sostiene un ricercatore non è altro che una speranza per tutti coloro che soffrono nella malattia».
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