Obiettivo della ricerca di Simona Punzi è studiare gli effetti dello spegnimento del gene WDR5 nel processo di formazione di metastasi nel tumore al seno
Il tumore al seno è, ancora oggi, il più diffuso e la principale causa di morte per malattia oncologica nelle donne al mondo, nonostante gli innegabili progressi in termini di prevenzione, diagnosi precoce e terapia ottenuti grazie alla ricerca scientifica: da cui il tasso di sopravvivenza a dieci anni all’80 per cento. La causa principale del fallimento delle terapie è lo sviluppo di resistenze alle terapie convenzionali e la conseguente diffusione di metastasi. La ricerca quindi è sempre più orientata a capire i meccanismi genetici e molecolari alla base di questi processo patologici, perché conoscerne i dettagli permette un approccio più razionale ed efficace per sviluppare nuovi farmaci e terapie. Tra i molti al lavoro in questo ambito c’è anche Simona Punzi, ricercatrice post-dottorato all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, sostenuta grazie al progetto Pink is good.
Simona, ci spieghi nei dettagli la tua ricerca?
«Studio una proteina, chiamata WDR5, che insieme ad altre ha un ruolo cruciale nella crescita e nella metastatizzazione del carcinoma mammario, sebbene i meccanismi siano poco chiari. La sua azione è quella di effettuare modifiche epigenetiche sul Dna. Si tratta di modificazioni che la cellula usa per regolare il suo patrimonio genetico, ma quando sono alterate, la cellula può leggere istruzioni sbagliate e trasformarsi fino a diventare maligna».
Che approccio usi nel tuo studio?
«Quello dello spegnimento genetico. Analizzo il comportamento di cellule tumorali mammarie in colture quando viene disattivato il gene WDR5 e quindi non c’è più la proteina corrispondente. Mediante sequenziamento del Dna valuto cosa succede a cascata ad altri geni normalmente regolati dalle modificazioni epigenetiche di WDR5. Infine, studio il comportamento di cellule tumorali con e senza WDR5 acceso in vivo in modelli animali, per valutare la presenza di cellule maligne circolanti e la capacità di dare metastasi a distanza».
Quali prospettive apre la tua ricerca?
«Apportare un importante contributo alla comprensione dei meccanismi di diffusione delle metastasi, fornendo nuove linee di intervento terapeutico per le pazienti affette da carcinoma mammario metastatico».
Hai trascorso un periodo di lavoro in Francia. Cosa ti ha spinto a tornare in Italia?
«La mia esperienza presso l’Università di Nantes è stata positiva sia dal punto di vista personale che professionale, ma ho deciso di rientrare in Italia perché credo sia importante affermare il diritto ad esercitare il proprio lavoro nel Paese d’origine e apportare un contributo che lo valorizzi».
Perché hai scelto la strada della ricerca?
«Avevo il desiderio di sentirmi partecipe in prima persona nel processo di innovazione».
Qual è il momento della tua vita professionale da incorniciare?
«Quando sono rientrata in Italia e, dopo mesi di ricerca, ho avuto la posizione da ricercatrice post-dottorato all’Istituto Europeo di Oncologia».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La continua sfida alle difficoltà e il costante arricchimento che questo lavoro mi offre».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La burocrazia».
Qual è il senso profondo che dà un significato alle tue giornate lavorative?
«Ritengo fondamentale che ognuno di noi cerchi di migliorare la vita di chi ha intorno. Spero che un giorno qualcuno possa avvalersi delle cure sviluppate grazie anche al mio apporto scientifico».
Qual è la cosa che vorresti provare assolutamente almeno una volta nella vita?
«Nuotare con un delfino».
Qual è il ricordo a te più caro di quando eri bambina?
«I pranzi estivi con la mia famiglia a casa dei nonni all’ombra del loro ulivo in Puglia».
Qual è la pazzia che hai fatto?
«Aver rifiutato un’offerta di lavoro ed essere rimasta disoccupata per un anno per inseguire il mio sogno di diventare ricercatrice».
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera?
«Mi sarebbe piaciuto andare a cena con Rita Levi Montalcini e chiederle del suo essere donna e scienziata in un’epoca, in fondo non così lontana, in cui l’affermazione contro il pregiudizio e il maschilismo era la prima vera conquista».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.