Nicolò Mauro sta sviluppando un nanosistema in grado di penetrare nel tumore mammario ed eliminare selettivamente solo le cellule malate
Il tumore al seno è la neoplasia più comune nelle donne. La chemioterapia standard può non essere del tutto efficace per questo tipo di cancro, perché non garantisce la distribuzione mirata del farmaco nel sito del tumore, e può quindi sottoporre le pazienti a numerosi effetti collaterali indesiderati. Negli ultimi anni l’applicazione delle nanotecnologie alla medicina ha permesso di costruire nanofarmaci intelligenti, cioè con una componente così piccola da raggiungere la scala nanometrica (un nanometro è l’equivalente di un milionesimo di millimetro) e in grado di riconoscere e colpire con precisione esclusivamente le cellule tumorali. Tuttavia queste nanomedicine non riescono sempre a penetrare con efficienza all’interno del tumore, a causa di una barriera (detta stroma) formata da collagene e cellule che lo separa dal tessuto circostante.
Con la sua ricerca, Nicolò Mauro vuole costruire dei nanosistemi capaci di riconoscere e penetrare il tumore mammario per poi permettere l’eliminazione mirata delle sole cellule cancerose.
Nicolò, ci daresti qualche dettaglio in più sulla tua ricerca?
«Il progetto punta a sviluppare una tecnologia che, in prossimità del tumore, rilasci molecole bioattive capaci di distruggere lo stroma e permettere così la penetrazione di nanosistemi progettati per eliminare solo le cellule maligne».
Ci spieghi meglio che cosa sono e come sono fatti questi nanosistemi?
«I nanosistemi sono strutture ibride: quella che utilizziamo noi è composta di una parte in grado di convertire le radiazioni laser in calore (che viene utilizzato per danneggiare le cellule malate) e fluorescenza e di fungere da agente di contrasto durante la risonanza magnetica nucleare, combinata con molecole capaci di riconoscere le cellule tumorali».
Perché avete scelto di seguire questo tipo di approccio e quali vantaggi comporta?
«Con questo lavoro sto sviluppando una tecnologia che permetta di superare le barriere che proteggono il tumore e consentire così l’eradicazione del tumore, sia grazie ad una chemioterapia selettiva sia tramite foto-ablazione (cioè l’impiego del laser, reso possibile dalla composizione del nanosistema). Inoltre, grazie alla presenza di componenti fluorescenti e magnetiche, la nanomedicina potrà essere visualizzata, monitorata e direzionata all’interno del tumore tramite comuni tecniche diagnostiche come la risonanza magnetica nucleare e l’imaging ottico a fluorescenza».
Quali prospettive aprirà questo nuovo approccio per la cura del tumore al seno?
«Questo progetto potrà avere importanti ricadute cliniche, grazie all’aumento di selettività ed efficacia del trattamento e alla possibilità di distruggere anche piccole metastasi, eliminando gli effetti collaterali dovuti alla diffusione dei chemioterapici in organi sani».
Cosa ti piace di più del tuo lavoro, della ricerca?
«Poter continuare a comportarmi come un bimbo. Il ricercatore, infatti, è come un bambino che smonta e rimonta i suoi giocattoli per capire come funzionano e, ogni tanto, anche per migliorarli. Come capita ai bambini, poi, talvolta avanzano dei pezzi e si scopre che i giochi funzionano lo stesso. Una scoperta continua… giorno dopo giorno».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«L’incertezza e la precarietà. Sarebbe molto bello avere la certezza di una posizione stabile per potermi concentrare sul mio lavoro».
C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?
«Se devo sceglierne una in particolare, non posso fare a meno di citare Albert Einstein, per il suo genio ribelle e per le sue intuizioni fuori dalla portata di ogni luogo comune dell’epoca. In età più matura sono stato ispirato molto anche da Leonardo da Vinci, che mi ha fatto comprendere l’importanza della visione olistica. Un uomo che vedeva le cose come artista, ingegnere e fisico e che è stato capace di proiettare l’uomo nel futuro».
Sei mai stato all’estero per fare ricerca?
«Sono stato all’estero diverse volte, in Gran Bretagna a Cardiff e Greenwich e in Australia a Melbourne, per sviluppare parte dei miei progetti in laboratori che erano più attrezzati. Ogni esperienza mi ha sempre arricchito professionalmente e umanamente. Ho potuto apprezzare la libertà con la quale si lavora nei laboratori esteri e la possibilità di sviluppare ogni idea».
Però alla fine sei sempre tornato e sei rimasto in Italia. Come mai?
«Ho sempre subìto il fascino dell’Italia, nonostante tutte le problematiche annesse. Sono fiero di essere italiano, ancora di più siciliano, e penso che non sia necessario andare altrove portare avanti i propri progetti. Bisogna imparare ad amare la propria terra, pur nelle mille difficoltà».
Cosa ne pensi di chi rifiuta pareri scientifici per motivi ideologici?
«Penso che un certo sentimento antiscientifico nasca anche dall’incapacità del mondo scientifico di comunicare efficientemente con i cittadini. Molte volte è lo stesso mondo scientifico che non è in grado di diffondere e difendere le evidenze scientifiche, lasciando spazio a semiverità ed argomentazioni prive di significato. Gli scienziati dovrebbero imparare a essere più presenti nella vita dei cittadini, rendendoli partecipi dei progressi della scienza e cercando di dialogare in maniera semplice e diretta».
Se potessi scegliere un qualsiasi personaggio famoso, con chi ti piacerebbe andare a cena una e cosa vorresti chiedergli?
«Mi piacerebbe cenare con due persone che non sono più in vita, i giudici Falcone e Borsellino, per ringraziarli di tutto quello che hanno fatto per il nostro Paese e per chiedergli di raccontarmi l’Italia. Mi aiuterebbe a scegliere meglio da che parte stare alle prossime elezioni».