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Agnese Collino
pubblicato il 27-08-2018

Melanoma: gli anticorpi di chi ce l’ha fatta per curare gli altri pazienti



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Fabio Nicolini vuole identificare gli anticorpi anti-melanoma dei pazienti che rispondono all’immunoterapia, per sviluppare nuovi farmaci utili a chi non ottiene giovamento dalle cure

Melanoma: gli anticorpi di chi ce l’ha fatta per curare gli altri pazienti

Il melanoma insorge a partire da un particolare tipo di cellule della pelle, i melanociti, che iniziano a crescere in maniera incontrollata fino a raggiungere anche altri organi e tessuti. A questo stadio avanzato della malattia, chiamato melanoma metastatico, molti dei trattamenti terapeutici attuali sono inefficaci. Negli ultimi anni sono stati implementati nuovi approcci terapeutici come l’immunoterapia, che stimola l’attivazione del sistema immunitario del paziente per combattere il tumore.

Le strategie dell’immunoterapia sono molteplici: dalla somministrazione di molecole che impediscono al tumore di «premere l’interruttore di spegnimento» delle nostre difese all’infusione nel paziente di un particolare tipo di cellule (da lui stesso prelevate) appositamente trattate per poter scatenare una risposta immunitaria contro il cancro. Alcuni pazienti rispondono molto bene a questi approcci: è probabile che il loro sistema immunitario abbia «imparato» a produrre nuovi anticorpi specifici per riconoscere e attaccare il melanoma.

Il biotecnologo Fabio Nicolini punta a identificare e produrre questi anticorpi per poter trattare i pazienti affetti da melanoma che attualmente non rispondono alle terapie.
 

Fabio, dicci di più del tuo progetto di ricerca.

«Le strategie immuniterapiche ora in uso nel trattamento del melanoma metastatico sono efficaci solo su alcuni pazienti. Pensiamo che, grazie alle terapie, questi soggetti abbiano sviluppato nuovi anticorpi specifici che potrebbero aver contribuito all’eliminazione delle cellule tumorali. Vogliamo quindi individuare e produrre in laboratorio questi anticorpi per trattare anche i pazienti che inizialmente non avevano riposto alle cure. Cercheremo queste nuove varianti di anticorpi nel sangue dei pazienti che rispondono alle cure coltivando i linfociti B di memoria, cioè le specifiche cellule che portano la memoria di passati nemici già sconfitti, e testando singolarmente i vari anticorpi che esse producono direttamente su cellule tumorali provenienti dalle biopsie (e in seguito anche su topi). In pratica, cerchiamo nei pazienti di oggi i farmaci per i pazienti di domani».


E quali potrebbero essere quindi le prospettive per i pazienti che al momento non rispondono bene ai trattamenti?

«L’individuazione di anticorpi specifici per il melanoma aprirebbe un ventaglio di possibilità, perché questi potrebbero essere impiegati sia a scopo terapeutico che diagnostico. Senza contare che le conoscenze scientifiche e le implementazioni sperimentali derivanti dall’esecuzione di questo progetto potrebbero essere applicate, in futuro, anche ad altri tipi di neoplasie».

 
Fabio, tu hai trascorso parecchi anni in Spagna: raccontaci un po’ del tuo percorso professionale.

«Nel 2007 ho effettuato un tirocinio di quattro mesi presso l’Istituto di Biologia Molecolare di Barcellona (IBMB): ho conciliato la realizzazione della tesi di laurea triennale con la possibilità di trascorrere un periodo all’estero, in una città che avevo conosciuto solo durante brevi periodi di vacanza. È stata la mia prima esperienza di lavoro continuativo in un laboratorio: ho conosciuto persone veramente in gamba, con le quali sono ancora in contatto, che mi hanno insegnato le basi della ricerca scientifica. Nel 2009 ho poi partecipato al progetto Erasmus con l’obiettivo di lavorare alla mia tesi di laurea specialistica, presso l’Università di Las Palmas di Gran Canaria. Oltre all’opportunità di vivere in un posto meraviglioso ho partecipato alle attività scientifiche di un gruppo di ricerca che ha stimolato ancor di più la mia curiosità scientifica e che ha partecipato attivamente alla mia formazione professionale. In seguito, la difficoltà di entrare in un programma di dottorato in Italia e la mia voglia di continuare a vivere all’estero mi ha spinto a trasferirmi nuovamente in Spagna. Negli ultimi 6 anni ho vissuto a Madrid, dove ho dapprima effettuato un tirocinio post-laurea presso il Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO), e successivamente il dottorato presso il Centro de Investigaciones Biológicas (CIB), conclusosi nel 2017».  

 

Cosa ha rappresentato per te questa lunga esperienza all’estero?

«Posso dire che questi anni sono stati i più importanti della mia vita, sia a livello professionale sia umano. Mi hanno formato come ricercatore e mi hanno fatto maturare e crescere tanto a livello personale. La mancanza degli affetti, la famiglia e gli amici, è sicuramente il lato più difficile quando si vive lontano: senza i miei genitori e mio fratello non sarei quello che sono oggi. Ma vivendo all’estero per tanto tempo s’impara anche che probabilmente non esiste solo una casa».

 

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«La perdita di mio zio a causa di un tumore cerebrale ha sicuramente contribuito al mio desiderio di utilizzare la conoscenza scientifica per aiutare a migliorare la vita di tutti, in maniera concreta. Qui all’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori incrocio pazienti oncologici tutti i giorni. Fare qualcosa per loro è quello che mi spinge a fare ricerca ancor oggi e dare il massimo sempre».

 

Come ti vedi fra dieci anni?

«Mi piacerebbe avere una posizione stabile in Italia, possibilmente nel laboratorio dove mi trovo attualmente».

 

Hai qualche hobby al di fuori del laboratorio?

«Ho giocato a basket per tanti anni, ma ora il mio fisico ha detto “basta”! Ogni tanto strimpello alla chitarra e quando posso vado in palestra. Il mio lavoro non sempre si concilia bene con il tempo libero».

 

Il tuo film preferito?

«“Pulp fiction”: mi piacerebbe saper ballare come John Travolta».

 

Ci racconti una «pazzia» che hai fatto?

«Prendere 3 voli nello stesso giorno per andare dalle Canarie alla California per stare con la mia ex ragazza».

 

Hai famiglia?

«No, ma vorrei averne una in futuro. Non poter raggiungere una stabilità lavorativa ed economica che mi permetta di costruire una famiglia è la mia più grande paura».

 

E se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare ricerca?

«Gli/le direi che è sicuramente un lavoro molto complicato e che implica tanti sacrifici, ma anche molto bello. Potrà contare sicuramente sul mio appoggio».

 

Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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