Monitorare l’evoluzione del cancro alla cervice uterina grazie a una nuova tecnica di elaborazione delle immagini: la ricerca di Federica Scalorbi
La maggior parte dei tumori è caratterizzata da alterazioni che vengono identificate tramite la biopsia, un esame medico che consiste nel prelievo e successiva analisi di un campione di tessuto del paziente. La biopsia è fondamentale non solo per la diagnosi e il monitoraggio della malattia, ma anche per la scelta del trattamento, perché è in grado di fornire un profilo molecolare del cancro che permette al medico di indirizzare il paziente verso la strategia terapeutica più idonea. Oggi, tuttavia, si sta affermando la possibilità di ottenere informazioni dettagliate sulla morfologia e sulle caratteristiche del tumore in modo non invasivo, grazie alle nuove tecniche di elaborazione delle immagini.
Una di queste è la radiomica, una metodologia emergente e dal forte interesse clinico che permette di analizzare le immagini radiologiche attraverso software innovativi per estrarre dati non «visibili» a occhio nudo. Grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink Is Good, Federica Scalorbi, medico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, vuole applicare questo approccio all’elaborazione delle immagini al tumore della cervice uterina.
Federica, vuoi dirci qualcosa di più sul tuo progetto?
«Le immagini radiologiche nascondono un enorme patrimonio di dati che l’occhio umano non riesce a percepire. Ogni immagine è fatta di numeri, che possono essere estratti e analizzati grazie ad algoritmi matematici, per ottenere informazioni sulle caratteristiche cellulari e molecolari dei tessuti tumorali».
Quindi l’idea è quella di convertire un’intera immagine diagnostica in numeri?
«Esattamente. I dati estratti dalle immagini verranno poi correlati con le caratteristiche molecolari e cellulari del tumore per ottenere indicazioni sull’aggressività della malattia e prevedere la sua evoluzione e l’effetto delle cure».
Avete già utilizzato questa tecnica nello studio di alcuni tumori?
«Per ora abbiamo applicato la radiomica alle immagini provenienti dalla PET di pazienti con tumore al collo dell’utero e i risultati sono incoraggianti. Siamo riusciti a identificare delle caratteristiche in grado di predire la risposta alla chemioterapia. L’obiettivo ora è correlare queste informazioni con altri dati clinici e radiologici e consolidare questa tecnica per utilizzarla nel monitoraggio del tumore alla cervice uterina».
Quali sono i vantaggi di questo tipo di analisi?
«Innanzitutto si possono ottenere informazioni utili senza che il paziente debba sottoporsi a ulteriori esami più invasivi. Inoltre le immagini diagnostiche forniscono una visione completa dell’intero tumore e possono essere ripetute nel tempo per monitorare i cambiamenti e la risposta alle terapie».
La radiomica potrebbe essere di aiuto anche nel progettare trattamenti su misura per ciascun paziente?
«Assolutamente sì, e la medicina di precisione è proprio uno dei campi di applicazione di maggiore interesse per questa tecnica. L’approccio radiomico consentirà di valutare accuratamente l’aggressività del tumore fin dagli inizi e questi dati potranno essere sfruttati per migliorare l'accuratezza diagnostica e pianificare strategie terapeutiche mirate».
Ti è mai capitato di andare all’estero per fare ricerca?
«Sì, durante l’ultimo anno di università ho trascorso un periodo presso il reparto di medicina interna dell’ospedale di Maastricht nell’ambito di uno progetto di scambio con gli studenti olandesi. È stata una bellissima esperienza, che mi ha permesso di conoscere studenti di medicina che si approcciavano alla materia in modo completamente diverso dal mio e questo mi ha permesso di crescere, sia professionalmente che dal punto di vista personale».
Hai in programma di ripetere questa esperienza?
«Ora che mi sono specializzata in una materia, mi piacerebbe andare in un centro di alta ricerca per sviluppare delle competenze specifiche da importare nel mio laboratorio in Italia».
Federica, sei un medico ma ti dedichi anche alla ricerca. Come mai questa scelta?
«La ricerca riesce a emozionarmi e mi dà l’entusiasmo che serve per andare avanti tutti i giorni. Anche quando la sera finisco tardi e i risultati non vengono, non mi abbatto e anzi questo mi dà la carica per ricominciare la mattina dopo con ancora più grinta. Certo, esistono anche i giorni in cui mi chiedo perché lo faccio, ma per fortuna sono pochi».
Qual è l’aspetto del tuo lavoro che ti piace di più?
«La versatilità e la possibilità di esplorare sempre nuovi filoni. Non è mai un lavoro monotono, e per me questo è essenziale».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Le difficoltà burocratiche, l’estenuante stesura dei database e la lettura di tanti articoli scientifici non sempre rilevanti. L’allargamento delle possibilità di pubblicazione ha portato oggi a un'enormità di informazioni solo in parte attendibili. Questo causa un grande dispendio di energia durante le fasi di ricerca bibliografica».
Ci sono state delle figure che ti hanno ispirato nel tuo percorso di crescita?
«Il professor Fanti, direttore della scuola di medicina nucleare di Bologna dove ho fatto la specializzazione».
Durante la tua giornata lavorativa hai dei momenti di particolare soddisfazione?
«Quando comunico ai pazienti che il periodo di follow-up è terminato e possono considerarsi guariti. La gioia e la gratitudine dei pazienti è lo stimolo e l’auto più grande nel nostro lavoro, specialmente quando i risultati non vengono».
Federica, parliamo ora un po' delle tue passioni. Quali sono i tuoi hobby fuori del laboratorio?
«Amo la montagna e vado spesso sulle Dolomiti, dove pratico sport sia invernali che estivi, con una predilezione particolare per il trekking. Quando sono in città, nel tempo libero suono la chitarra, leggo, pratico la corsa e lo yoga. Talvolta esco a teatro o vado a mostre d’arte».
C’è qualcosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?
«Un’esperienza seria di volontariato in un paese del terzo mondo».
Hai mai fatto qualche pazzia?
«Dormire in una tenda isolata sulle montagne rocciose in una valle piena di grizzly. Negli anni, la mia passione per i viaggi è diventata un’esigenza, specialmente dopo che ho iniziato a esplorare luoghi fuori dal turismo di massa per conoscere modi di vita diversi da quello occidentale e riscoprire il contatto con la natura».
Il tuo libro preferito?
«“L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, di Oliver Sacks».
E il film?
«Adoro “Amarcord” di Federico Fellini».
Se potessi scegliere, quale personaggio famoso ti piacerebbe conoscere?
«Jared Diamond, ho grande stima della sua intelligenza e umanità. Vorrei conoscerlo per approfondire la sua visione del futuro in questa epoca di grandi migrazioni. Anzi, sapete come contattarlo?!».
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