Francesca Citron punta a identificare i geni che provocano la resistenza alla chemioterapia nel tumore all’ovaio. Obbiettivo: sviluppare nuove cure efficaci
Lo sviluppo di resistenze ai farmaci anti-tumorali è uno dei principali ostacoli nella cura di alcune neoplasie, tra cui il tumore dell'ovaio. Per questa malattia, poco frequente ma con il più alto tasso di mortalità tra i tumori ginecologici, la terapia di elezione è rappresentata dalla chirurgia, seguita da chemioterapia con composti a base di platino. Purtroppo le cellule tumorali possono però diventare «immuni» agli effetti di questi farmaci e l’insorgenza della chemio-resistenza, con conseguente sviluppo di recidive e metastasi, è una delle principali cause dell’aggressività di questa malattia.
Chiarire i meccanismi molecolari responsabili alla base di questo processo è una delle sfide su cui si giocherà il progresso delle terapie antitumorali nei prossimi anni. In questo filone di ricerca si inserisce il lavoro di Francesca Citron, che grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good a sostegno dei tumori femminili porta avanti il suo progetto all’Università di Houston in Texas.
Francesca, da dove nasce l’idea del tuo progetto?
«Quando pensiamo a un tumore, lo immaginiamo come una massa omogenea di cellule maligne mutate. Ma non è così. I tumori sono caratterizzati da una certa eterogeneità a livello genetico e molecolare, pertanto i farmaci chemioterapici non hanno lo stesso effetto su tutte le cellule e in alcuni casi possono agire selezionando quelle resistenti alla terapia».
Quali sono le conseguenze di questa selezione?
«Quando il tumore viene esposto all'azione di un chemioterapico, le cellule sensibili ai suoi effetti muoiono e la cura sembra fare effetto. Tuttavia questi farmaci selezionano anche le cellule resistenti alla terapia, che in un successivo momento possono ricominciare a moltiplicarsi e dare origine a recidive e metastasi. Identificare i processi alla base della farmaco-resistenza è pertanto di fondamentale importanza per sviluppare cure efficaci in grado di sradicare completamente il tumore».
E come è possibile farlo?
«Nel corso del mio progetto, effettuo un screening di genomica funzionale su cellule di carcinoma ovarico resistenti al platino per identificare i meccanismi genetici e molecolari responsabili della resistenza. In pratica, si tratta di scandagliare il genoma per individuare i geni coinvolti nell’insorgenza della chemio-resistenza e implicati nello sviluppo delle recidive».
La conoscenza di questi meccanismi potrebbe aiutare a sviluppare farmaci personalizzati?
«La conoscenza molecolare dei punti deboli del carcinoma ovarico permetterà di individuare nuovi bersagli terapeutici e disegnare farmaci ad-hoc, che consentiranno di migliorare la prognosi delle pazienti affette da questa malattia e di ridurre allo stesso tempo gli effetti collaterali».
Grazie a Fondazione Umberto Veronesi, potrei svolgere il tuo post-Doc presso l’MD Anderson Cancer Center in Texas. Cosa ti aspetti da questa esperienza?
«Fin dall’ultimo anno di Università, ho avuto la possibilità e la fortuna di lavorare presso il laboratorio di ricerca di Gustavo Baldassarre, dove ho potuto completare la mia formazione per essere competitiva e indipendente nella mia futura carriera. Ora è il momento di mettere a frutto le conoscenze acquisite. L’istituto che ho scelto per il post-doc è uno dei migliori al mondo per la ricerca oncologica, pertanto intendo sfruttare al massimo questa esperienza per imparare nuove tecniche e sviluppare nuove competenze scientifiche».
Francesca, parliamo ora un po' di te. Ricordi il momento in cui hai deciso di diventare una “scienziata”?
«La ricerca è entrata nella mia vita in modo del tutto inaspettato. Ero quasi al termine del mio percorso universitario in chimica e tecnologie farmaceutiche e forse un po’ stanca di passare il tempo a studiare sui libri. Decisi così di optare per una tesi sperimentale. Dopo il primo, breve colloquio con il dottor Baldassarre, il mio mentore al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, ho capito che questa sarebbe stata la mia strada».
Qual è l’aspetto del tuo lavoro che ti piace di più?
«Ogni giorno la ricerca mi offre la possibilità di poter credere che si stia aprendo un nuovo orizzonte. Fare questo lavoro mi aiuta a essere attenta a un mondo che cambia velocemente e mi sprona a migliorare ogni giorno».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La burocrazia».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Indipendenza e libertà, coniugati a umiltà e rigore. La ricerca è libertà, riuscire ad essere creativi ma nel rigore di un pensiero logico e critico».
Cosa fai quando non sei in laboratorio?
«Sono abbastanza sportiva e spesso nel weekend mi dedico alla corsa, in bici o a piedi, seguita immancabilmente da pranzi o cene in compagnia degli amici. La sera, invece, mi diletto a curiosare tra articoli divulgativi di economia e finanza, per avere uno sguardo sul mondo da una prospettiva diversa dalla mia».
Ancora non hai figli, ma come reagiresti se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare ricerca?
«Lo supporterei in tutto. Inseguire una passione è la cosa più viva che possa fare, e ne vale sempre la pena».
Prova a descriviti con tre pregi e tre difetti.
«Indipendente, determinata e solare. Insicura, nevrotica e solitaria».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?
«Alla nascita del mio primo nipote, Brenno. Lo adoro».
Qual è la cosa che temi di più?
«L’individualismo. Trovo sia un aspetto dilagante nella nostra società e mi spaventa molto perché rende apatici e disattenti».
Il tuo sogno nel cassetto?
«Percorrere tutto il Sud America, partire dalla Patagonia e risalire lungo le Ande, attraversando Cile, Bolivia, Perù, Colombia e Venezuela».
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera?
«Con l'economista Michele Boldrin e con il giornalista Alberto Forchielli. Ho una serie di dubbi sul mondo a cui sicuramente saprebbero rispondermi con grande puntualità e con un pizzico ironia. Loro sono una fonte inesauribile di “think different”».
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