Quanto è pericolosa una minaccia di aborto? Cosa comporta? Scopriamo come riconoscerla e gestirla
Le perdite ematiche in gravidanza destano sempre molte preoccupazioni e il timore che si tratti di una minaccia di aborto. Come capire se ci troviamo effettivamente in questa situazione? Abbiamo chiesto al dottor Gianpaolo Maso, responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale “Gravidanza a Rischio” dell’Irccs Materno Infantile- Burlo Garofolo di Trieste, di aiutarci a comprendere sintomi, diagnosi e trattamento della minaccia di aborto.
Che cos’è la minaccia di aborto?
La minaccia di aborto, come ricorda l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), è definita come un sanguinamento genitale che si verifica durante una gravidanza riconosciuta come vitale, tipicamente mediante ecografia, senza dilatazione cervicale e prima della ventesima settimana.
Come si presenta?
La minaccia di aborto si presenta con sanguinamento genitale, in genere lieve o moderato, che rappresenta il fattore prognostico più importante a cui si associa spesso dolore al basso ventre che può presentarsi con crampi intermittenti, dolore sovrapubico, pressione pelvica o dolore lombare.
Cosa fare in presenza di sintomi?
Se il sanguinamento è lieve o moderato si può ricorrere a un controllo ambulatoriale nell’arco di 24/48 ore. Se invece c’è un sanguinamento importante, ovvero se si riempiono 1-2 assorbenti all'ora per due ore, è raccomandato recarsi al Pronto Soccorso per i rischi correlati a un’emorragia severa.
Come si diagnostica?
La diagnosi di minaccia d’aborto è clinica e strumentale, e si basa sull’osservazione delle perdite di sangue in una donna incinta secondo le condizioni già descritte. Nelle fasi iniziali della gravidanza e in presenza di questi sintomi, è importante considerare anche l’ecografia transvaginale per definire sede ed evoluzione della gravidanza. L’ecografia serve soprattuutto per escludere un impianto anomalo extrauterino, aborto interno o incompleto o, più raramente, la gravidanza molare. Quest’ultima situazione è caratterizzata da una gravidanza anomala in cui l'ovulo viene fecondato, ma, non essendo vitale, il successivo impianto non può garantire la formazione di una placenta sana a causa di errori genetici presenti nell'embrione.
È possibile che nelle fasi precocissime della gestazione non si sia in grado di definire la sede della gravidanza con ecografia transvaginale. Il sacco gestazionale, infatti, è visualizzabile a circa cinque settimane e l’embrione a sei settimane dalla data dell’ultima mestruazione. In tal caso verrà programmato un follow up ecografico e laboratoristico per rilevare e quantificare i valori dell’ormone della gravidanza, ovvero la beta gonadotropina corionica umana (hCG), utile per fornire informazioni sull’evoluzione e sede della gravidanza. Livelli anormalmente e persistentemente bassi di beta hCG, infatti, possono essere associati a un rischio maggiore di aborto.
Come si interviene?
La maggior parte delle pazienti con minaccia di aborto che presentino sanguinamento lieve-moderato non necessita di ricovero. Le donne in questo caso possono tornare al proprio domicilio ed essere osservate con gestione ambulatoriale con follow-up ravvicinato. Nel caso in cui siano presenti dolori pelvici si può ricorrere al paracetamolo, evitando l’utilizzo di farmaci FANS quali l'ibuprofene.
La ripetizione dell’ecografia e la valutazione seriata dei livelli di beta-hCG aiuterà a determinare la progressione verso una gravidanza vitale o verso un aborto inevitabile o completo. Gli operatori sanitari, che dovrebbero essere debitamente formati per gestire il disagio psicologico delle donne che stanno affrontando una minaccia di aborto, hanno il compito di spiegare alle pazienti, tramite un’informativa verbale e documentata, quali sono i rischi correlati a questa condizione. Potrebbero presentarsi sanguinamenti e crampi di grado lieve-moderato o sanguinamento vaginale importante che impone una valutazione clinica immediata per il rischio di emorragia grave. È importante informare la donna che, nella maggioranza dei casi, l’aborto non è una condizione prevenibile e, in caso di evoluzione negativa, la donna non si deve mai sentire responsabile di quanto accaduto.
Il riposo a letto serve?
Il riposo a letto, e altre restrizioni delle attività quotidiane, non si sono rivelate efficaci nella prevenzione di una minaccia di aborto che progredisca in aborto spontaneo. Inoltre, tale raccomandazione potrebbe comportare un rischio aumentato di altre complicazioni tra cui la trombosi venosa profonda ed embolia polmonare correlate allo stato gravidico e all’immobilità. Alcuni operatori consigliano alle pazienti di evitare attività faticose fino alla cessazione del sanguinamento vaginale.
Quanto è pericolosa?
È importante sottolineare che la minaccia di aborto non porta necessariamente a un aborto effettivo. Nella maggioranza dei casi, in assenza di fattori di rischio, la gravidanza decorre in modo regolare senza complicazioni né per la mamma né per il bambino.
Il sanguinamento vaginale è piuttosto diffuso: gli studi hanno dimostrato che circa il 20% delle donne lo sperimenta prima della ventesima settimana di gravidanza. Alcuni studi hanno anche dimostrato che, in presenza di minaccia d’aborto, potrebbe esserci un aumento del rischio di esiti avversi per la gravidanza e in particolare di placentazione anomala, distacco di placenta, necessità di rimozione manuale della placenta dopo il parto, rottura prematura delle membrane e parto pretermine.
Ci sono fattori che aumentano il rischio?
Le cause di una minaccia di aborto o di un aborto spontaneo non sono sempre note e la stragrande maggioranza degli aborti spontanei non può essere prevenuta, probabilmente perché dovuta ad anomalie cromosomiche in circa la metà dei casi. Nei casi di aborto in cui il corredo cromosomico risulti essere normale, definiti aborti euploidi, i fattori materni e paterni svolgono un ruolo più significativo. Nonostante una minaccia di aborto possa verificarsi in qualsiasi gravidanza, indipendentemente dall’età della madre, dalla sua etnia, da altre patologie presenti, dallo stile di vita o dallo stato socio-economico, esistono dei fattori che potrebbero aumentare il rischio di andare incontro a un aborto spontaneo.
Si tratta di:
- condizioni costituzionali, come ad esempio età materna o paterna avanzata e obesità
- disagio psicosociale o stress
- fattori ambientali come assunzione di alcol, abitudine al fumo e sostanze d’abuso
- pregresso aborto nella gravidanza precedente
- assunzione/esposizione a farmaci teratogeni o non compatibili con la gravidanza
- presenza di patologie preesistenti la gravidanza come ad esempio il diabete mellito non controllato, malattie della tiroide o patologie autommuni
Si può ridurre il rischio di aborto spontaneo?
Pe ridurre il rischio di andare incontro ad aborto spontaneo è fondamentale ottimizzare la salute materna prima della gravidanza con una valutazione pre-concezionale, ponendo l’attenzione sui fattori modificabili e pianificando la gravidanza dopo la stabilizzazione delle condizioni mediche preesistenti. In termini di prevenzione è dimostrato che l'integrazione di acido folico immediatamente prima e durante le prime fasi della gravidanza può ridurre il rischio di aborto spontaneo.
Per quanto riguarda la terapia supplementare con progesterone vaginale, invece, il National Institute for Health Care and Excellence (NICE) consiglia di offrire progesterone micronizzato vaginale, somministrato in forma di crema vaginale, alle donne che hanno avuto una o più perdite di gravidanze precedenti e hanno un sanguinamento vaginale nelle fasi precoci della gravidanza in corso. L’uso non è raccomandato in assenza di aborto precedente, anche se è stata diagnosticata una minaccia d’aborto.
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile