Secondo uno studio giapponese, chi guadagna di più è a maggior rischio ipertensione. Colpa di stili di vita troppo opulenti e poco salutari
Meglio i soldi o la salute? L’antico dilemma viene riproposto da uno studio presentato a un convegno organizzato dalla Japanese Circulation Society e dalla Società Europea di Cardiologia, da cui emerge un messaggio poco rassicurante, per il nostro corpo. Più le persone sono ricche, maggiormente risultano esposte al rischio di sviluppare l’ipertensione: primo fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardio e cerebrovascolari, quali l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale. Una presa d’atto non senza rimedio, però: «Chi ha alti guadagni, dovrebbe migliorare il proprio stile di vita - avverte Shingo Yanagiya, ricercatore della Hokkaido University di Sapporo, in Giappone -. Questo include mangiare in modo sano, fare attività fisica e controllare il proprio peso. L’alcol dovrebbe inoltre essere consumato a livelli moderati, evitando le sbronze».
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IPERTENSIONE: PRIMA CAUSA DI MORTE PREMATURA
Nel mondo, sono un miliardo le persone con la pressione alta. A soffrirne sono il 30-45 per cento degli adulti e oltre il 60 per cento quelli sopra i 60 anni. L’ipertensione è considerata la prima causa di morte prematura, a cui possono essere ascritti all’incirca dieci milioni dei decessi registrati nel 2015. Di questi, quasi la metà sono stati provocati da un’ischemia cardiaca e da un ictus. «L’ipertensione è un problema legato allo stile di vita - aggiunge Yanagiya -. Come medico che la cura, ho voluto vedere se il rischio variasse in base alla classe socioeconomica, così da poter impostare meglio la prevenzione». Così ha preso avvio nel 2012 lo studio J-Hope3 che ha coinvolto 4.314 impiegati giapponesi (3.153 uomini e 1.161 donne) con un lavoro diurno e la pressione del sangue normale, dipendenti di 12 diverse aziende.
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IL RISCHIO IN RAPPORTO AI SOLDI
I lavoratori sono stati divisi in quattro gruppi sulla base del reddito familiare: un gruppo con meno di cinque milioni di yen da parte (all’incirca 40mila euro), il secondo con una cifra compresa tra 5 e 7.9 milioni (poco più di 63mila euro), il terzo da 8 a 9.9 milioni (quasi 80mila euro), infine il gruppo da 10 milioni (e oltre) di yen all’anno. Per due anni, i medici hanno seguito l’associazione tra i guadagni e l’eventuale sviluppo dell'ipertensione. Rispetto agli uomini appartenenti al gruppo più svantaggiato, quelli più ricchi mostravano un rischio doppio di sviluppare l’ipertensione. E (nello specifico) i lavoratori con un reddito compreso tra 5 e 7.9 milioni e 8 e 9.9 milioni facevano registrare un rischio più alto del 50 per cento.
E LE DONNE RICCHE? NIENTE STRAVIZI
Il legame, però, è anche una questione di genere. Riscontrata tra gli uomini, la relazione tra disponibilità economica e valori della pressione sanguigna non è infatti emersa tra le donne. «Secondo precedenti ricerche in Giappone, risulta che i redditi più alti si accompagnano a stili di vita meno salutari negli uomini, ma non tra le donne – osserva Yanagiya -. Il nostro studio è giunto a conclusioni analoghe. Gli uomini, ma non le donne, con i più alti tendono a essere obesi e a bere alcol tutti i giorni. Questi due elementi aprono la strada all’ipertensione e li si riscontra mediamente tra gli uomini di tutte le età». Nulla è irreversibile, però. «Questi individui possono abbassare il rischio di avere un infarto o un ictus semplicemente modificando il proprio stile di vita».
IN OGNI CASO, POCO SALE A TAVOLA
In Giappone il rischio pressione alta è particolarmente diffuso perché la quantità di sale che si consuma è di dieci grammi al giorno, ben al di sopra della dose considerata sicura». Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, la quantità giornaliera non dovrebbe superare i 5 grammi (in Italia risulta che ne consumiamo 12 g al giorno). Come fare in modo di non superare i limiti? Per evitare di accumulare troppo sale «nascosto», gli esperti suggeriscono di: scolare e sciacquare verdure e fagioli in scatola; mangiare più frutta e verdure fresche; diminuire gradualmente l'aggiunta di sale ai piatti, per fare in modo che il palato possa adattarsi ai nuovi gusti; usare erbe, spezie, aglio e limone (al posto del sale) per aggiungere sapore ai piatti; mettere il sale e le salse salate lontano dalla tavola; controllare le etichette dei prodotti alimentari per scegliere quelli a minor contenuto di sale.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.