Due ricerche dimostrano una riduzione dei tassi di mortalità in chi consuma caffè in moderate quantità. Merito forse di alcuni antiossidanti (disponibili anche in altri alimenti)
L’ideale è fermarsi a tre tazzine al giorno: indipendentemente dal contenuto di caffeina o meno. Giungono nuove conferme a sostegno dell’effetto protettivo del caffè nei confronti delle principali malattie croniche, che sono anche le più diffuse cause di morte: malattie cardio e cerebrovascolari, diabete, insufficienza renale e tumori. In uno studio condotto fra California e Hawaii, infatti, la percentuale di decessi è risultata ridotta fino al 18 per cento nei consumatori di tre tazzine di bevanda al giorno. Ma i benefici, seppur di portata inferiore (12 per cento), sono stati riscontrati anche in coloro che sorseggiano quantità più modeste. Basta questo per dire che una tazzina di caffè allunga la vita? No. «Ma l’associazione c’è, è forte e non possiamo trascurarla», per dirla con le parole di Veronica Setiawan, docente di medicina preventiva all’Università della South California e autore principale dello studio pubblicato su Annals of Internal Medicine.
Forse c’è un gene nella nostra voglia di caffè
DAL CAFFE’ UN AIUTO PER LA SALUTE?
L’effetto protettivo è stato riscontrato su una coorte multietnica composta da oltre 215mila persone. Obiettivo della ricerca era indagare i fattori di rischio in grado di influenzare una diagnosi di tumore. Per anni s’era infatti pensato che un eccessivo consumo di caffè esponesse a un più alto rischio di ammalarsi di tumore alla vescica. Ipotesi smentita e ribaltata lo scorso anno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), che in un dossier evidenziò un possibile effetto protettivo. E il beneficio è risultato valere non soltanto nei confronti delle malattie oncologiche, ma anche di altre condizioni come l’aterosclerosi che erano risultate meno frequenti nei bevitori di caffè.
LA RICERCA CALIFORNIANA
I partecipanti allo studio, di età compresa tra 45 e 75 anni, hanno compilato un questionario con domande riguardanti la dieta, lo stile di vita e la storia personale e familiare di malattia. Una delle domande riguardava espressamente il caffè: con la richiesta di indicare il numero di tazzine consumate giornalmente, oltre che la tipologia di bevanda assunta (con o senza caffeina). Il follow-up, completato dopo sedici anni, ha restituito il risultato già citato. «Chi beve le suddette quantità di caffè può continuare a farlo senza preoccupazioni. Chi non lo fa, invece, probabilmente deve ragionare su questa scelta», hanno affermato i ricercatori nel comunicato stampa diffuso dall’ateneo.
Leggi lo SPECIALE IPERTENSIONE della Fondazione Umberto Veronesi
MA LE RAGIONI SONO ANCORA DA DIMOSTRARE
La ricerca non dice nulla circa le possibili cause alla base di questo effetto: impossibile dunque sbilanciarsi sul profilo delle sostanze responsabili dell’effetto «elisir». Il beneficio, secondo gli esperti, potrebbe essere la conseguenza «dei molti antiossidanti e composti fenolici che, presi singolarmente, hanno già dimostrato in laboratorio di avere un effetto protettivo nei confronti di diversi tumori», ha spiegato Setiawan, aggiungendo che «rispetto ad altre, questa ricerca svela risultati uniformi indipendentemente dalla razza delle persone coinvolte». Il dettaglio non è da trascurare, perché indagini simili possono dare risultati differenti a seconda del background etnico. Rispetto ai consumi di caffè, invece, «possiamo dire che il beneficio risulta diffuso». Conclusioni analoghe peraltro a quelle di un’altra ricerca, pubblicata anch’essa su Annals of Internal Medicine e coordinata da Marc Gunter, epidemiologo dell’Iarc di Lione. Analizzando in maniera retrospettiva i dati di oltre cinquecentomila persone arruolate nello studio Epic, gli studiosi europei hanno riscontrato che i tassi di morte risultavano più bassi tra gli assuntori di tre o più tazzine di caffè al giorno. L’effetto risultava valido per tutte le possibili cause di decesso, ma nello specifico per le malattie cardiocircolatorie e dell’apparato digerente.
Mamme in attesa: non più di due tazzine al giorno di caffè
I LIMITI DEGLI STUDI NELL’AMBITO DELLA NUTRIZIONE
Nell’editoriale di accompagnamento alle due ricerche, i quattro autori scrivono che «un effetto protettivo garantito dal caffè è biologicamente plausibile, vista la presenza di composti bioattivi con proprietà antiossidanti e dal momento che l’assunzione della bevanda è già stata a più riprese associata a una buona risposta all’insulina, al miglioramento della funzionalità epatica e a una riduzione dello stato infiammatorio». Premesso che gli antiossidanti in questione non sono una prerogativa esclusiva del caffè, senza dimenticare la difficoltà di trarre conclusioni definitive negli studi nutrizionali in assenza di randomizzazione, si può affermare che «l’assunzione di un quantitativo pari a quello contenuto in tre, quattro o cinque tazzine al giorno può essere elemento di una dieta sana ed equilibrata».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).