Gli alimenti ricchi di amido liberano acidi grassi a catena corta che mitigano l’azione autoimmune nei confronti delle cellule Beta del pancreas. Anche per il diabete di tipo 1 la dieta potrebbe fare la differenza
Se parlando del diabete di tipo 2 da anni vengono chiamati in causa la dieta e l’attività fisica, sia in chiave terapeutica sia preventiva, le stesse informazioni non erano finora state mai associate al diabete di tipo 1: ovvero la forma autoimmune della malattia, che costringe quasi trecentomila italiani a sottoporsi alle iniezioni di insulina (l’ormone che regola la concentrazione di zuccheri nel sangue) per tenere sotto controllo la glicemia.
Ma l’ineluttabilità della condizione potrebbe in alcuni casi finire in soffitta, così come l’obbligo di assumere insulina. È quanto si spera accada se le indicazioni contenute in uno studio condotto su animali e pubblicato sulla rivista Nature Immunology dovessero nei prossimi anni trovare riscontro anche al termine di una sperimentazione clinica su pazienti diabetici.
Contro il diabete di tipo 1 si guarda anche alle staminali embrionali
ACIDI GRASSI A CATENA CORTA
I ricercatori della Monash University (Wellington, Australia) hanno infatti scoperto per la prima volta che una dieta ricca di amidi - zuccheri complessi di cui abbondano quasi tutti gli alimenti di origine vegetale - funge da fattore protettivo nei confronti del diabete di tipo 1.
Lo studio è stato condotto su un modello animale, motivo per cui i risultati vanno assunti con le dovute cautele. Ma la loro portata, abbinata al prestigio della rivista che li ha riportati, autorizza a essere fiduciosi in vista di un possibile riscontro anche sull’uomo.
A garantire protezione alle cellule beta del pancreas - quelle che secernono l’insulina e che nelle persone malate risultano aggredite dal sistema immunitario - sarebbero alcuni acidi grassi a catena corta (acetato e butirrato) che i batteri intestinali producono durante la fermentazione degli amidi, a valle del processo digestivo.
Volendo descrivere nel dettaglio l’azione dell’acetato e del butirrato, va detto che l meccanismo alla base dell’azione dei due composti è però risultato differente. L’acetato ha ridotto in maniera sensibile la moltiplicazione dei linfociti T, responsabili della distruzione delle cellule Beta degli isolotti pancreatici (che secernono l’insulina).
Il butirrato, invece, ha incrementato invece la funzione dei linfociti T regolatori, oltre a migliorare l’integrità della mucosa intestinale e ridurre la concentrazione dell’interleuchina-21: una citochina che attiva e favorisce la proliferazione dei linfociti T.
E se la depressione dipendesse anche dal microbiota intestinale?
ALIMENTI COME FARMACI ?
I ricercatori sono partiti da un’informazione ormai condivisa all’interno della comunità scientifica: gli alimenti che consumiamo regolano la composizione del microbiota intestinale.
E hanno dunque voluto valutare se la riduzione dei livelli infiammatori portata avanti attraverso la dieta fosse in grado di condizionare l’insorgenza o il decorso di una malattia autoimmune qual è il diabete di tipo 1.
I risultati della ricerca hanno confermato che «alcuni metaboliti possono comportarsi come farmaci - ha spiegato Charles Mackay, immunologo della Monash University, tra gli autori della pubblicazione -. Viviamo nell’epoca in cui potremmo scoprire che alcuni composti normalmente assunti con la dieta sono in realtà efficaci quanto un farmaco».
Secondo gli autori della ricerca, i benefici osservati potrebbero andare oltre il diabete di tipo 1 e riguardare anche le malattie infiammatorie croniche intestinali, l’asma, il diabete di tipo 2 e le allergie alimentari.
INDICAZIONI DA PORTARE A TAVOLA
L’amido è il carboidrato di riserva del mondo vegetale. Come tale, si ritrova in diversi alimenti: innanzitutto i tuberi (patate, topinambur, manioca), ma anche i semi di cereali (frumento, mais, riso, orzo e avena), i prodotti da loro derivati e i legumi.
Da qui l’associazione con quanto emerso dallo studio e la dieta mediterranea, che a questo punto si candida anche come potenziale antidoto al diabete di tipo 1.
DIABETE DI TIPO 1, DIETA E BAMBINI
Una malattia che, parola di Franco Cerruti, direttore della struttura complessa di pediatria e diabetologia all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino e presidente della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (Siedp), «è in crescita tra i bambini, in particolare al di sotto dei sei anni.
C’è anche un problema di diagnosi tardiva, dal momento che i sintomi iniziali sono spesso confusi con quelli di altre malattie». Quali indicazioni nutrizionali trasferire alle famiglie con un figlio affetto da diabete di tipo 1?
La Siedp raccomanda di non fargli saltare mai la colazione, di evitare i digiuni prolungati, di consumare pasti completi (carboidrati, proteine, grassi, fibre) a pranzo e a cena.
Una dieta varia, con un ridotto apporto di zuccheri e grassi saturi contribuiscono a rendere più facile la convivenza con una malattia destinata a rimanere tale per tutta la vita.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).