È quanto emerge dal rapporto dell’Oms sui Millennium Goals per il 2015. Centrati gli Obiettivi di Sviluppo per Aids, malaria e tubercolosi. Per il futuro nel mirino le malattie croniche
Quindici anni dopo, la malaria, la tubercolosi e l’Aids sono meno diffuse. In compenso, però, non si arresta l’epidemia di malattie non trasmissibili: come l’obesità e il diabete. Quindici anni dopo è anche migliorato l’accesso all’acqua potabile nei Paesi in via di sviluppo e si muore di meno durante l’infanzia o nel corso della gravidanza, anche se il calo non è dell’entità prevista a inizio millennio. Tempo di bilanci, per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio tracciati dall’Assemblea delle Nazioni Unite all’alba del ventunesimo secolo.
IL TRAGUARDO DEL 2015
L’intervallo temporale entro cui i risultati avrebbero dovuto essere raggiunti è agli sgoccioli. A fine settembre, infatti, da New York l’Onu farà sapere quali priorità, in materia di salute pubblica, intende soddisfare nello step successivo: fissato per il 2030. Diversi gli obiettivi prefissati dai potenti del mondo: dalla riduzione della mortalità infantile al miglioramento della salute materna, dalla lotta alle principali malattie infettive allo sviluppo della sostenibilità ambientale delle produzioni alimentari. Passaggi su cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto fare il punto, monitorando i passi compiuti dai suoi 194 Stati membri.
OK LA LOTTA ALLE MALATTIE INFETTIVE
Dal documento, stilato ogni anno, emerge un quadro eterogeneo. Se le tendenze attuali dovessero essere confermate anche a dicembre, si potranno definire raggiunti gli obiettivi che riguardavano l’Aids (due milioni le nuove diagnosi effettuate nel 2013), la malaria (-30% di nuove diagnosi rispetto al 2000), la tubercolosi (-45%) e l’accesso al’acqua potabile, sebbene 750 milioni al mondo continuino a non poter usufruire di una risorsa sicura. Per quanto meno povero e più sano rispetto a quindici anni fa, il mondo non può però ritenersi soddisfatto per altri obiettivi che invece non sono stati centrati: come la riduzione dei tassi di mortalità tra i bambini e le donne in gravidanza. A far registrare i progressi più rilevanti le nazioni asiatiche e quelle che si affacciano sull’oceano Pacifico, oltre all’Europa e agli Stati dell’America centro-settentrionale. Vanno a rilento, invece, le realtà del sud-est asiatico, le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo orientale e quelle africane.
MUOIONO ANCORA TROPPE DONNE E BAMBINI
Dal 1990 a oggi, la mortalità infantile è stata quasi dimezzata: da 90 a 46 (su mille) i bambini che vengono a mancare nei primi anni di vita. Un buon risultato, ma che non rispecchia l’aspettativa secondo cui, alla fine dell’anno, il tasso avrebbe dovuto essere ridotto - in tutti i 194 Paesi - di due terzi. Tra le principali cause di morte: le nascite pretermine, le polmoniti, le asfissie neonatali e le infezioni intestinali che provocano diarrea. Quasi identico è il messaggio che riguarda le donne e il periodo della gravidanza. I tassi di decesso sono dimezzati, rispetto all’inizio del secolo, ma non ridotti del 75%: come invece ci si era prefissati. Per questa voce sono ancora più rilevanti le differenze tra le aree prese in esame. Un quarto di esse, complessivamente, non ha accesso ai contraccettivi e soltanto la metà delle gravide partorisce con l’assistenza di personale qualificato. Troppo spesso, invece, le donne arrivano a partorire senza essere state visitate almeno quattro volte durante la gravidanza.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).