Piero Santantonio, presidente dell'associazione Mitocon, racconta la quotidiana lotta delle persone colpite da malattie mitocondriali
LO SPECIALE SULLE MALATTIE MITOCONDRIALI
Non c’è “il” sintomo, a volte non c’è “la” diagnosi e almeno per ora non ci sono cure risolutive. Le malattie mitocondriali colpiscono con gravità variabile funzioni dell’organismo a volte fondamentali come la capacità di vedere, sentire, mangiare, muoversi, respirare. Possono insorgere in momenti diversi della vita, ma nella gran parte dei casi ciò accade nell’infanzia o nell’adolescenza.
COSA SONO LE MALATTIE MITOCONDRIALI
L’ASSOCIAZIONE
La malattia di un figlio è un’ingiuria oscena alla vita e una malattia rara è un avversario particolarmente sfuggente, che richiede intelligenza, dedizione e coraggio. Tanto. Piero Santantonio lo sa bene. E’ il Presidente dell’associazione Mitocon. «E’ nata come la gran parte delle associazioni di questo genere. Perchè alcune persone, per lo più genitori di bambini malati, non trovavano risposte alle loro domande, soprattutto di tipo assistenziale. Eravamo 4 o 5 genitori di pazienti a cui era stata data questa diagnosi. Nel 2007-2008 è iniziato un percorso che ci ha portato ad aggregare tante persone, poi diventato un riferimento anche per i ricercatori».
LA RETE
Negli anni l’associazione ha lavorato instancabilmente a fianco di medici e ricercatori. Oltre a finanziare progetti di ricerca, attrezzature medicali e borse di studio, organizza momenti di incontro. «Oggi il nostro convegno è diventato un appuntamento internazionale per chi fa ricerca e, con più fatica, anche per pazienti e familiari, meno abituati a girare il mondo e a volte condizioni difficili, con figli che non si possono muovere o situazioni familiari in equilibrio precario». Il primo successo che Piero Santantonio tiene a citare è la creazione di un network fra i ricercatori e i centri di cura. «Prima non esisteva. Abbiamo creato un registro delle malattie mitocondriali che è il più articolato e popolato al mondo, conta circa 1300 pazienti. Un problema che a noi sta a cuore è trasmettere una corretta percezione della scienza: sono necessarie pazienza e prudenza per disporre di risultati certi. La scienza non è onnipotente, va a tentativi, si ricrede nel corso del tempo. E’ dura per chi ha un figlio che soffre, ma oggi abbiamo competenze 100 volte superiori ad appena 10 anni fa».
LE PROSPETTIVE
Il percorso delle famiglie di un bambino colpito da malattia mitocondriale inizia molto tempo prima. E per molti è un viaggio particolarmente tortuoso. «Parliamo di una grande varietà di sintomi, una cinquantina di sindromi riconosciute, ognuna legata a centinaia di mutazioni diverse. Solo la metà dei pazienti con malattia mitocondriale ha potuto avere una diagnosi genetica. Oggi non ci sono terapie, ma si spera nelle terapie geniche: per questo è importante avere una diagnosi certa, e un registro. Nuove tecniche di sequenziamento, più rapide e a basso costo, potrebbero consentire uno screening dei pazienti ancora senza diagnosi genetica».
LA DIAGNOSI
Il primo scoglio che le famiglie si trovano ad affrontare è dare un nome a ciò che sta colpendo il loro caro. «Dico spesso che la diagnosi si misura in giorni e in chilometri. Per noi è stato relativamente facile. Viviamo a Roma, la malattia di mio figlio dipende da una mutazione mitocondriale relativamente semplice da trovare, in tre mesi e la distanza fra i quattro ospedali romani principali e abbiamo avuto al risposta al malessere di nostro figlio. C’è chi la risposta la aspetta ancora, dopo anni e migliaia di chilometri. Al Sud in particolare la situazione è difficile, soprattutto sul piano della presa in carico del paziente».
L’ASSISTENZA
Il secondo scoglio – enorme - è quello dell’assistenza. «Molto dipende dall’età e dall’insorgenza dei sintomi. La peggiore assurdità per chi ha a che fare con una malattia rara è la situazione tutta italiana della sanità regionalizzata. Per definizione, le malattie rare non possono essere gestite su base regionale, ci sono regioni in cui mancano centri di riferimento». Ma la gestione del paziente a volte è parcellizzata addirittura a livello di ASL, e Santantonio lo sa bene. «Dopo la diagnosi di mio figlio, anche la sorella di mia moglie si è sottoposta a dei controlli e ha scoperto che i problemi che l’affliggevano sin da piccola (epilessia, problemi motori, visivi e uditivi) non erano dovuti a una encefalopatia da parto, come da ci era stato detto, ma a una alterazione mitocondriale. Noi con la nostra ASL non abbiamo mai avuto problemi con la fornitura dei farmaci, mia cognata sì. E parliamo di due ASL di Roma».
LE TERAPIE
Ogni situazione è una storia da raccontare, ogni famiglia combatte una lotta tenace . «Conosco il caso di una famiglia di Genova, con due figli colpiti da una sindrome mitocondriale, la neuropatia ottica ereditaria di Leber, che comporta il rapido deterioramento della vista. L’unica terapia che può aiutare è un farmaco, l’idebenone, somministrato ad alte dosi. Significa più di 50 euro ogni tre giorni. Dato che il farmaco non era incluso nel prontuario della Regione Liguria, la famiglia ha dovuto lottare a lungo per vedere riconosciuto il diritto di avere la cura rimborsata». Un altro esempio? «Molti pazienti assumono il coenzima Q10, un forte antiossidante naturale che riduce i radicali liberi prodotti dal cattivo funzionamento dei mitocondri. Hanno prodotto una formulazione molto più assimilabile, passata in alcune Regioni e in altre no».
LA VITA QUOTIDIANA A FIANCO DEI MALATI
Le difficoltà sono quelle ben note a chi conosce da vicino la disabilità. «Per un bambino a letto che respira con la ventilazione assistita, anche un’influenza è complicata. Intorno, spesso, c’è il deserto dei Tartari. Pensateci: un’infermiera che suona alla porta ogni giorno, ad esempio, non solo aiuta a cambiare una medicazione, ma regala anche un’ora di sollievo a una famiglia a volte stremata. I pediatri di base, com’è naturale, nella maggior parte dei casi non hanno competenza di malattie rare. Le persone di buona volontà leggono, studiano, si informano. Gli altri al primo problema ti mandano al pronto soccorso.
E’ la realtà a macchia di leopardo della medicina di base per chiunque abbia un problema particolare. In 15 anni il pediatra di base di mio figlio non si è mai visto. E i bambini quando possono vanno a scuola, ma non è pensabile avere tre ore a settimana di assistenza scolastica, talvolta ottenuta dopo faticose insistenze. Anche in questo caso, esistono realtà di eccellenza. Mio figlio cammina, va al liceo, abbiamo incontrato dirigenti scolastici e insegnanti eccezionali. In altri casi il sistema non esiste, il sistema è la famiglia».
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.