Per 2 genitori su 3 nessun problema di fronte all’abbandono scolastico. Le nuove forme di schiavitù al centro dell'ultima edizione di Science For Peace
Sono piccoli baristi, commessi, parrucchieri. Ma pure braccianti agricoli, manovali nei cantieri e meccanici di officina. Il numero totale degli under 16 italiani già al lavoro tocca quota 280mila, con uno su dieci a rischio sfruttamento perché impiegato in lavori in grado di mettere a repentaglio lo sviluppo. Sono i dati che emergono da un’indagine condotta da Datanalysis per conto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Paidòss). Coinvolte mille coppie di genitori di ragazzi under 16.
LA “GAVETTA” DURANTE L’ADOLESCENZA
La recrudescenza del lavoro minorile è una conseguenza del periodo di crisi da cui si è reduci. I genitori italiani, stremati da anni di difficoltà economiche, sembrano non capire fino in fondo la gravità dell’abbandono scolastico, problematica che oggi tocca da vicino il 18% dei giovanissimi. Ad allontanarli dai banchi è la ricerca di un impiego e nella metà dei casi la scelta è supportata da mamma e papà. « Lavorare prima dei 16 anni rappresenta un rischio per la salute e il benessere psicofisico dei ragazzi - afferma Giuseppe Mele, pediatra di famiglia e presidente di Paidòss -. L’idea che iniziare la gavetta presto possa aiutare i ragazzi a inserirsi meglio nel mondo del lavoro è falsa e fuorviante. Ci sono diversi dati che evidenziano come un bambino costretto prima del tempo a lavorare trovi il doppio delle difficoltà nella ricerca di un’occupazione più dignitosa, in età adulta».
UNA CONSEGUENZA DELLA CRISI ECONOMICA
Il 54% dei genitori intervistati è apparso fermo nel giustificare una scelta improrogabile per le casse della famiglia, pur riconoscendo che «il lavoro minorile rubi ai ragazzini la formazione scolastica, l’infanzia e una normale crescita psicofisica», prosegue Mele. Nulla però è proibito, di fronte alla necessità di far quadrare il bilancio familiare. Ma ciò che preoccupa di più è che soltanto un genitore su tre costringerebbe il proprio figlio a continuare ad andare a scuola nel caso in cui il desiderio di lavorare fosse manifestato proprio dall’adolescente.
«I minori che lavorano si trovano spesso in situazioni pericolose - dichiara Franco Bettoni, presidente dell’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro -. Non di rado i ragazzi lavorano di sera e di notte, rinunciando alle ore dedicate al riposo ed esponendosi a una maggiore probabilità di malattie come obesità, diabete, tumori. C’è anche un altro problema: il contatto più probabile con sostanze tossiche a cui risultano esposti giovani meccanici, parrucchiere, calzolai e braccianti agricoli. Senza trascurare i piccoli operai edili, che operano in contesti in cui il rischio di incidenti è più alto».
APPUNTAMENTO A SCIENCE FOR PEACE
Seppur spesso sia una scelta forzata, il lavoro minorile rappresenta una forma di asservimento da cui nemmeno l’Italia è immune. La tematica è poco chiara ai genitori, se il 30% di quelli intervistati ritiene che a sudare siano soltanto i piccoli stranieri, soprattutto dei Paesi in via di sviluppo. In realtà dei 280mila piccoli lavoratori presenti lungo la Penisola, la maggior parte (260mila) sono italiani. L'emergenza della schiavitù moderna - 21 milioni le vittime nel mondo, almeno cinque i bambini - sarà affrontata nel corso della prossima edizione di Science for Peace, il convegno organizzato dalla Fondazione Umberto Veronesi in programma il 13 novembre all'Università Bocconi di Milano. Si analizzeranno le sue forme più diffuse: da quella per debito al lavoro minorile, dalla tratta delle donne e dei minori al matrimonio forzato.
Previsto anche l'intervento di due Premi Nobel per la Pace: l’iraniana Shirin Ebadi (2003) e la yemenita Tawakkul Karman (2011). Particolare rilievo verrà dato al fenomeno dell’arruolamento forzato dei bambini nelle forze armate, diffuso sopratutto nei Paesi del Medio Oriente. Si parlerà anche di schiavitù domestica, con le bambine costrette a contrarre matrimoni precoci e poi sottoposte a violenze da parte del marito.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).