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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 01-04-2016

Gli autistici sono freddi e poco empatici? Sbagliato



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In occasione della giornata mondiale dedicata all’autismo (2 aprile), un nuovo studio smentisce uno stereotipo comune. Esperti ancora divisi sull’ipotesi dello screening in età infantile

Gli autistici sono freddi e poco empatici? Sbagliato

Nell’immaginario collettivo, le persone affette da autismo vengono definite fredde e poco empatiche. Ovvero: incapaci di immedesimarsi e comprendere le emozioni degli altri. Ma si tratta di un giudizio approssimativo, che nasce dall’enfatizzazione di alcune caratteristiche della malattia: il deficit di comunicazione interpersonale e la presenza di movimenti ripetitivi e senza finalità. Meglio fare un passo indietro, dunque, anche perché la reazione delle persone autistiche in una situazione di «dilemma morale» non risulta così diversa da quella della popolazione generale

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COME SI REAGISCE DI FRONTE AL «BIVIO»?

Nella giornata mondiale dedicata alla consapevolezza sull’autismo, il dato emerge da uno studio pubblicato su Scientific Reports da un gruppo di ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e dell’Università di Vienna. Gli autori hanno sottoposto alcune persone autistiche «ad alto funzionamento» (con un quoziente di intelligenza elevato) a dei «dilemmi morali», ovvero delle situazioni ipotetiche in cui il protagonista è chiamato a prendere una decisione che potrà salvare la vita di qualcuno, sacrificando però quella di altri. In questi frangenti si può decidere oppure astenersi, finendo comunque per provocare numerose morti virtuali. Da precedenti ricerche s’è visto che un atteggiamento puramente razionale prevede la scelta dell’azione volontaria (utilitaristica), mentre una reazione empatica impedisce quasi sempre di scegliere di uccidere volontariamente.

QUALI SONO LE CAUSE DELL’AUTISMO?

PREVALE LA SCELTA EMPATICA

Dal confronto delle reazioni è emerso che le persone autistiche tendono a opporsi alla scelta utilitaristica e razionale, cioè evitano di causare vittime, esattamente come osservato nelle persone sane. «Questo perché l’autismo è associato a un forte stress emotivo in risposta a queste situazioni, per cui l’individuo tende a evitare di compiere azioni dannose», afferma Indrajeet Patil, ricercatore nell’ambito delle neuroscienze sociali alla Sissa di Trieste. A condurre più spesso verso la prima scelta è invece l’alessitimia, una manifestazione subclinica (dunque non una malattia) spesso associata all’autismo (in un caso su due), ma talvolta presente anche nel resto della popolazione. Chi ne soffre, averte un deficit della consapevolezza emotiva. Ovvero: è incapace di riconoscere e descrivere gli stati emotivi, propri e altrui.

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LE DIFFERENZE TRA L’AUTISMO E L’ALESSITIMIA

Per quanto la differenza tra l’alessitimia e l’autismo meriti di essere ancora indagata, la prima condizione sarebbe responsabile della reazione distaccata e meno empatica che alcune persone (non soltanto autistiche) mostrano anche al cospetto di scelte drastiche. «A lungo le manifestazioni dell’alessitimia sono state confuse con i sintomi autistici, ma si tratta di due condizioni distinte», precisa Giorgia Silani, neuroscienziata del dipartimento di psicologica applicata dell’Università di Vienna. «L’autismo è una malattia, l’alessitimia no. E nel primo caso a essere deficitaria è la capacità di attribuire agli altri pensieri e stati mentali».


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TERAPIE: ATTENZIONE ALLE FALSE SPERANZE

In realtà più che di autismo è corretto parlare di disturbi dello spettro autistico, dal momento che si tratta di una condizione neuropsichiatrica ad ampio spettro. La comprensione della malattia - il cui trattamento dalla scorsa estate rientra nei Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale - non è ancora completa, ma ciò che appare certo è che gli autistici faticano a mettere in comunicazione le varie aree cerebrali e dunque a integrare le informazioni. Negli anni sono state formulate diverse ipotesi sui meccanismi di genesi della malattia: dall’esposizione a metalli tossici (piombo e mercurio) introdotti col cibo al malassorbimento di alcune proteine. Ipotesi suggestive, ma che Stefano Vicari, direttore dell’unità di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, bolla come «prive di fondamento». E nonostante esistano delle linee guida condivise per il trattamento dell'autismo, «alcuni settori della medicina alternativa propongono diete "speciali" che rischiano di sostituirsi ai percorsi terapeutici realmente efficaci. È importante che i genitori siano informati dell'infondatezza di questi interventi, dei loro potenziali danni per la salute e dei costi elevati dei cibi speciali e dei controlli specialistici».

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ESPERTI ANCORA DIVISI SULLO SCREENING

Mancano numeri certi, ma secondo gli ultimi studi un bambino su 68 presenterebbe un disturbo generalizzato dello spettro autistico.L’esordio della malattia è precoce: tra l’anno di vita e il compimento del ventottesimo mese. Da qui la necessità di un intervento in grado di formulare una diagnosi entro il terzo anno di vita. «Sono diverse le prove che evidenziano come prima inizi il trattamento, migliori siano i risultati terapeutici», afferma Diana Robins, direttore del programma di ricerca sulla diagnosi precoce e l’intervento contro i disturbi dello spettro autistico alla Drexel University di Philadelphia e autore di un position paper sull’efficacia dello screening - raccomandato dall’American Academy of Pediatrics dal 2006, a partire dai diciotto mesi dei bambini - apparso sul Journal of Autism and Developmental Disorders. In Italia il compito spetta in prima battuta ai pediatri di famiglia, ma la copertura non è ancora omogenea e la sensibilità non troppo elevata (85 per cento) degli strumenti diagnostici impiegati porta con sé il rischio di riconoscere come sani bambini in realtà già ammalati.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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