Le cellule staminali del cordone ombelicale vengono utilizzate per la cura di alcune malattie. Attraverso la donazione pubblica aumenta la possibilità di trovare un donatore compatibile
Il trapianto di staminali emopoietiche, ovvero cellule capaci di rigenerare gli elementi che compongono il sangue, rappresenta una terapia salvavita consolidata e di grande successo per la cura di numerose e gravi malattie del sangue. Anche se il trapianto di midollo è una valida cura, le difficoltà a reperire per alcuni pazienti un donatore compatibile hanno spinto i ricercatori a trovare fonti alternative di cellule staminali emopoietiche rispetto al midollo.
Una di queste è rappresentata dalle cellule staminali del cordone ombelicale. Sono abbastanza simili a quelle del midollo ma hanno un grado di staminalità maggiore, ovvero dare origine a svariati tipi cellulari, e una capacità di replicarsi superiore. Non solo, presentano anche un minor rischio di rigetto», spiega Paolo Rebulla, primario del Centro di Medicina Trasfusionale del Policlinico e direttore della Milano Cord Blood Bank. Allo stato attuale le principali patologie che vengono curate con successo sono le leucemie, i linfomi, le talassemie, le immunodeficenze e alcuni difetti metabolici.
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COME AVVIENE IL PRELIEVO
Scoperto che il sangue del cordone ombelicale contiene una discreta quantità di cellule staminali, analogamente a quanto accade per il midollo osseo, nel mondo sono state create ad oggi circa cinquanta banche in grado di raccogliere queste cellule e renderle disponibili per i trapianti. «Il prelievo è assolutamente privo di rischi per la donna e il bambino spiega Rebulla -. Il sangue contenente le staminali viene raccolto attraverso una piccola puntura del cordone ombelicale a taglio avvenuto». Dal prelievo si ottiene una quantità di circa un decimo di litro. Una volta raccolto, il campione viene inviato presso la banca per essere valutato e, se idoneo, per essere congelato.
SCELTA DOPPIA
Secondo le attuali normative vigenti nel nostro paese, una mamma che partorisce, e decide di effettuare il prelievo delle cellule staminali del cordone, ha due possibilità di scelta: la prima è quella di una donazione alla collettività presso una struttura pubblica; la seconda in una raccolta e conservazione (quest'ultima deve avvenire all'estero) a pagamento delle cellule staminali da utilizzare per proprio conto.
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DONAZIONI PUBBLICHE
Le banche pubbliche sono degli enti che mettono a disposizione della collettività tutti i campioni ricevuti. Il sangue prelevato in sala parto raggiunge la banca e diventa immediatamente disponibile a tutti. «Solo nella nostra sede della Cord Blood Bank - spiega Rebulla - abbiamo ricevuto nel corso di 18 anni ben 25 mila donazioni. Di queste abbiamo creato un inventario di circa 9 mila campioni con caratteristiche buone per il trapianto. Abbiamo infatti già sperimentato con successo 470 trapianti». Il principale fattore che condiziona la raccolta è che non tutti i prelievi contengono un numero sufficiente di cellule.
Questa è la ragione della differenza tra prelievi effettuati e numero di campioni conservati. «Le banche pubbliche dunque raccolgono il sangue, lo analizzano, mettono in rete i dati in un database mondiale per identificare i donatori compatibili e, in ultima istanza, forniscono il materiale da trapiantare (trapianto allogenico). Più donazioni ci sono e più alta è la probabilità di trovare un donatore compatibile» dichiara Rebulla.
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BANCHE PRIVATE
Discorso completamente differente è quello delle biobanche di conservazione private. In questi istituti è possibile conservare a pagamento (a partire dai 2 mila euro) il sangue del cordone ombelicale nell'ipotesi che in futuro possano essere messi a punto dei protocolli per curarsi con le proprie cellule staminali (trapianto autologo). «Questa è una ipotesi - spiega Rebulla - che non viene al momento condivisa ancora dai più grandi esperti in materia. Se infatti tutta la popolazione scegliesse questo tipo di conservazione, comprensibile da un punto di vista psicologico, il grande bene di un inventario pubblico a disposizione di tutti verrebbe a mancare anche per quelle persone che hanno scelto le banche private». Infatti allo stato attuale sono pochissimi i casi in cui sono state utilizzate.
Per quanto riguarda la segnalazione di alcuni studi clinici condotti negli Stati Uniti che prevedono l’uso di sangue cordonale autologo nel trattamento del diabete mellito di tipo I e in casi di danni cerebrali neonatali, i risultati sono ancora assolutamente preliminari e necessitano comunque di ulteriori approfondimenti scientifici.
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LIBERTA' DI SCELTA
«Ritengo non giusto ma fondamentale che si possa conservare le cellule staminali del cordone ombelicale e ritengo giustissimo che sia la donna a decidere che cosa fare del suo corpo e quindi anche del cordone ombelicale», dichiara Umberto Veronesi.
Conservare il sangue placentare significa comunque dare una chance in più al proprio figlio, oltre che compiere un atto di fiducia nella scienza. C'è poi però l'aspetto non da trascurare di solidarietà: donare il sangue del cordone ombelicale del proprio bambino è una scelta che offre a tante persone malate una speranza in più di guarire. «Se aumenta globalmente il numero di donazioni - spiega Veronesi - si crea un circolo virtuoso per cui, se un domani una donna o il suo bambino dovessero necessitare di un trapianto, essi avrebbero molte più possibilità di trovare un donatore».
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PRELIEVO DEDICATO
Diverso è il discorso per i casi di neonati o loro familiari colpiti da malattie curabili con le cellule staminali, oppure delle famiglie con un rischio ereditario, come quelle colpite da forme gravi di talassemia. Per loro l'ordinanza ministeriale prevede la conservazione del cordone ombelicale a scopo dedicato e senza alcun costo aggiuntivo.
PROSPETTIVE A LIVELLO MONDIALE
La politica sanitaria italiana, stanziando una notevole quantità di risorse, ha permesso di sviluppare una rete di 18 banche pubbliche coordinate dal Centro Nazionale Sangue in cooperazione con il Centro Nazionale Trapianti. Un numero importante se si pensa che al mondo ne esistono solamente 50 per un totale di campioni conservati pari a circa 500 mila unità. Un numero che secondo gli esperti di immunogenetica deve almeno raddoppiare o triplicare. «Se il patrimonio mondiale raggiungerà questi numeri, ovvero minimo un milione di unità, sarà possibile garantire ai pazienti una probabilità almeno dell'ottanta per cento di trovare una donazione compatibile», conclude Rebulla.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.