Secondo alcuni ingerire un estratto placentare dopo il parto migliorerebbe lo stato fisico e psichico. Una revisione scientifica smentisce e avvisa, anzi, dei possibili rischi
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È una pratica ancora decisamente di nicchia, che però sta godendo di una certa popolarità. La placentofagia, ovvero la scelta di mangiare un estratto della placenta a poche ore dal parto, è stata promossa anche dall'adesione di personaggi noti, come Nicole Kidman, Claudia Galanti, e persino qualche papà come Tom Cruise Holmes. A guidarli la convinzione di presunti benefici per la pelle, l’umore e il rafforzamento del rapporto con il neonato, in virtù di una (ipotizzata) iniezione di ormoni, minerali, vitamine e amminoacidi.
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In tutto ciò, però, non c’è nulla di vero. Mangiare la placenta - pratica introdotta nella medicina cinese e diffusa in molti mammiferi - che per nove mesi ha posto una futura mamma in rapporto con il nascituro, non assicura alcun beneficio alla salute e potrebbe nascondere dei rischi finora rimasti sconosciuti. La notizia giunge dalle colonne di Archives of Women’s Mental Health, una rivista scientifica su cui un gruppo di ricercatori della Northwestern University - visto che la consuetudine sta prendendo piede negli Stati Uniti - ha pubblicato una recensione dei dieci studi presenti in letteratura sul tema della placentofagia. Tranchant la conclusione: «Nonostante la pratica goda di una buona eco attraverso il web, non c’è alcun lavoro che attesti un effetto positivo per il corpo e per la mente». Quasi nulle le evidenze scientifiche a supporto di una tendenza che, finora, ha portato le protagoniste a parlare di riduzione del dolore, aumento delle forze, della produzione di latte materno e del quantitativo di ferro in circolo nel sangue, miglioramento dell’elasticità della pelle. Oltre che, spostando le attenzioni sull’aspetto psicologico, sviluppo del rapporto tra madre e figlio e allontanamento della sindrome del terzo giorno: uno stato di inquietudine nei confronti del neonato che spesso è il preludio della depressione post-partum. Oggi sappiamo che i benefici sono quasi nulli, ma non solo.
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Ci sarebbero, infatti, anche dei rischi legati al consumo di un estratto della placenta, di solito assunta sotto forma di centrifuga o capsule. Finora nessuno si è preoccupato di valutare le possibili ripercussioni microbiologiche legate alla pratica. Nel corso della gravidanza la placenta agisce come filtro tra la mamma e il feto: secernendo ormoni, rifornendo il nascituro di ossigeno e sostanze nutritive, ma anche eliminando scarti e composti potenzialmente tossici. Di conseguenza il “setaccio”, una volta terminata la gestazione, è tutt’altro che sterile e potrebbe essere veicolo di microrganismi patogeni, come lo stafilococco aureo: uno dei batteri oggi più resistenti agli antibiotici. Un rischio, le cui conseguenze sono ancora tutte da esplorare, di cui molte donne sarebbero all’oscuro. «Se avessi appena partorito e fossi colpita dalla depressione post-partum, cercherei trattamenti di provata efficacia, come quelli proposti dalla medicina moderna», ha affermato Rebecca Baergen, responsabile del dipartimento di patologia ostetrica e perinatale al Weill Cornell Medical Center di New York, in un’intervista rilasciata nelle scorse settimane a Scientific American. L’effetto placebo è dietro l’angolo e i rischi non sono pari a zero: meglio lasciare la placenta così com’è.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).