Trentenni oggi più preoccupati di quanto non lo fossero alla stessa età i loro genitori. Fra le cause crisi economica e ambizioni eccessive
Il messaggio è diretto alle orecchie dei bambini e degli adolescenti: godetevi la vita, senza sprecare alcun attimo. Dai trent'anni in su, infatti, le preoccupazioni saranno troppe per recuperare la felicità delle prime decadi. è questa l'istantanea dello stato d'animo di giovani e adulti del terzo millennio, opposta rispetto al passato, quando più le lancette scorrevano e maggiori erano i tassi di soddisfazione e appagamento.
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ADULTI OGGI INFELICI
Ragazzi spensierati e felici. Adulti preoccupati e quasi mai col sorriso sulle labbra. Si potrebbe riassumere così la fisiognomica degli oltre 1,3 milioni di cittadini statunitensi che hanno partecipato a uno studio pubblicato sulla rivista Social Psychological and Personality Science. Un campione sufficientemente ampio in grado di dimostrare che i trentenni di oggi sono molto meno distesi rispetto a quanto non lo fossero i loro genitori qualche decennio fa. Il raffronto con pubblicazioni del passato ha evidenziato un calo della felicità negli over 30 statunitensi: dal 38 al 32 per cento, tra il 1972 e il 2010. Mentre fino a pochi anni addietro si registrava un trend crescente dell'appagamento allo scorrere degli anni, dettato dal raggiungimento dell'autonomia personale e professionale, i ricercatori della Florida Atlantic University e dell'Università della California hanno scoperto che oggi oltre la soglia dei trent'anni - sia negli uomini sia nelle donne - la felicità raggiunge un "plateau" ed è uguale, se non inferiore, a quella rilevata nei più "spensierati" neomaggiorenni e nei ventinovenni.
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COLPA (ANCHE) DELLE TROPPE AMBIZIONI
Il modello sviluppato da Jean Twenge, ricercatrice del dipartimento di psicologia dell'Università di San Diego, dopo aver analizzato le interviste raccolte tra il 1970 e il 2014 da 1,3 milioni di persone (13-96 anni), permette di affermare che fino al 2010 la felicità aumentava in maniera direttamente proporzionale allo scorrere degli anni. Nell'ultimo lustro, invece, la dinamica s'è invertita. Una tendenza che riguarda da vicino i "millennials", meno soddisfatti rispetto ai propri genitori e nonni al raggiungimento della piena maturità professionale. Dagli autori dello studio non è giunta alcuna spiegazione ufficiale di questo trend, ma soltanto un'ipotesi: con l'aumento delle aspettative legate alla propria carriera, non ci si può stupire di ritrovarsi di fronte una folta pattuglia di insoddisfatti. La ricerca ha permesso di rilevare che nel 1976 il 48 per cento degli studenti di scuola superiore ambiva a una carriera manageriale, mentre oggi la quota ha raggiunto il 64 per cento. Un aumento che la crisi economica, con le sue ripercussioni occupazionali, non è stata in grado di reggere.
IL DOPPIO VOLTO DELL'INDIVIDUALISMO
«Va benissimo avere grandi ambizioni quando si è adolescenti o giovani adulti, ma se col tempo non si diventa un po' più realisti il rischio di ritrovarsi insoddisfatti a trent'anni è dietro l'angolo», afferma Twenge. Questa gara contro chiunque ci circondi permette di essere più felici e spensierati nel corso dell'adolescenza, periodo della vita in cui la tecnologia, e in generale la ricerca di beni materiali, comporta più benefici che danni all'umore. La seconda supposizione degli autori dello studio è che invece oltre una certa età i nuovi device e i social media possano intaccare il benessere individuale. Le conclusioni del lavoro fanno riferimento alla popolazione statunitense, ma i dati non sono così differenti rispetto a quelli relativi alla popolazione italiana. Secondo l'ultimo rapporto sulla felicità globale redatto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, il nostro Paese si colloca al cinquantesimo posto tra gli Stati più appagati. Dalla classifica emerge che, assieme alla Grecia e alla Spagna, l'Italia è tra quelli che negli ultimi anni ha subìto il maggior calo del tasso di felicità a causa della crisi economica. In cima alla classifica ci sono Svizzera, Islanda, Danimarca e Norvegia.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).