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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 29-06-2015

Contro il tumore della prostata servono task force speciali



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Come per il seno, l’obiettivo è creare centri specializzati multidisciplinari ("prostate unit") per diagnosi più precise e cure mirate

Contro il tumore della prostata servono task force speciali

Terapie migliori, diagnosi sempre più precise e riduzione nel numero di esami inutili. Sono questi i risultati che si otterrebbero se tutte le persone affette da cancro alla prostata fossero prese in carico dalle “prostate cancer unit”. Ad affermarlo è un lavoro appena pubblicato dalla rivista Critical Reviews in Oncology and Haematology e discusso in questi giorni a Roma in occasione del Congresso Nazionale dalla Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO).

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I NUMERI DEL CANCRO ALLA PROSTATA

Come spiega il professor Riccardo Valdagni, Presidente Eletto SIUrO, «Con 36 mila nuove diagnosi l’anno, il tumore della prostata rappresenta il 20% di tutti quelli diagnosticati nell’uomo a partire dai 50 anni di età, con un incidenza maggiore soprattutto tra gli over 60». A differenza del passato, dove l’aspettativa di vita media quando il tumore dava metastasi era di pochi mesi, oggi sono a disposizione 5-6 molecole che hanno cambiato la storia della malattia. Nove uomini su dieci, colpiti da cancro alla prostata, oggi superano la malattia. Dal 1995, infatti, la sopravvivenza globale è sensibilmente migliorata grazie a una diagnosi precoce e mirata e ai nuovi trattamenti combinati (farmaci, chirurgia, radioterapia) sempre più efficaci e meno invasivi che consentono di cronicizzare la malattia senza alterare la qualità di vita dei pazienti.

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COSA SONO LE PROSTATE UNIT

Risultati importanti che potrebbero essere decisamente migliorati se solo fossero più diffuse le “prostate cancer unit”. «Da una medicina basata sul singolo specialista –spiega l’esperto- si deve arrivare alla scelta della migliore terapia attraverso l’analisi e il confronto di più professionisti. In Italia, a differenza di altri Stati europei, non esistono percorsi istituzionalizzati per creare team di camici bianchi e spesso anche il dialogo tra i vari clinici è insufficiente. In Germania invece esistono oltre 90 “prostate cancer unit”. «Per rendere davvero possibile la multidisciplinarietà è necessario riorganizzare le nostre strutture sanitarie tenendo conto dell’esperienza delle Breast Unit. La costituzione di “prostate cancer Unit” deve rispettare precisi parametri medici stabiliti in recente position paper della European School of Oncology. Al documento hanno lavorato per oltre tre anni gli specialisti delle più importanti Società Scientifiche europee e le associazioni di pazienti. Questi standard aiuteranno il processo» spiega Valdagni.

 

SORVEGLIANZA ATTIVA

In particolare l’esigenza delle “prostate unit” è ancora più necessaria nei casi di sorveglianza attiva. “Il carcinoma prostatico -prosegue Valdagni– nel 30-40% dei casi è presente in forma indolente caratterizzata da una crescita che può essere molto lenta e non in grado di provocare disturbi e ancor meno di causare la morte. In questi casi è possibile adottare una strategia osservazionale come la sorveglianza attiva, tenendo sotto stretto controllo nel tempo il comportamento e l’evoluzione del tumore, riservando il trattamento solo ai pazienti che ne abbiano bisogno e quando ne abbiano bisogno».

Attenzione però a non confondere la sorveglianza attiva con il mancato intervento. Il parere degli urologi riunitisi a Roma è unanime: per molti persone la sorveglianza attiva –in particolare quelle non seguite da unità specializzate- viene vissuta come “non c’è più nulla da fare”. Ciò non corrisponde a verità perché una vera sorveglianza prevede controlli periodici e programmati del PSA (ogni tre mesi), viste cliniche con esplorazione rettale (ogni sei mesi) e biopsie di riclassificazione (dopo uno, quattro, sette e dieci anni dalla diagnosi). «In questo modo possiamo osservare il cancro e preservare la qualità di vita della persona malata che i trattamenti attivi possono minare. Per fare questo occorrono le “prostate cancer unit”» conclude Valdagni.

 

@danierlebanfi83

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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