In Italia ogni anno circa 85.000 casi complessivi di neoplasie prostatiche, vescicali, testicolari e renali. Grazie alla multidisciplinarietà cambia in meglio la gestione di un caso su tre
In uro-oncologia il “lavoro di squadra” risulta migliore di quello del “singolo specialista” soprattutto nelle prime fasi della malattia. Quando è il team multidisciplinare a valutare il tumore, infatti, un caso su tre cambia tipologia di diagnosi e di trattamento. È questo il principale tema al centro del XXXIV Congresso Nazionale della SIUrO (Società Italiana di Urologia Oncologica) che si svolge a Bologna dal 3 al 5 ottobre. Per tre giorni oltre 500 specialisti discutono sulle più recenti innovazioni diagnostico-terapeutiche messe a punto nel campo dei tumori uro-genitali.
UNA MUTIDISCIPLINARIETÀ PRECOCE
Ogni anno in Italia si registrano oltre 41mila nuovi casi di tumore della prostata, 29mila della vescica, 12mila del rene, 2.400 del testicolo e 500 del pene. Sono potenzialmente oltre 28mila le forme di cancro al tratto genito-urinario che, grazie al “lavoro di squadra”, potrebbero cambiare e migliorare gestione, con vantaggi sostanziali per il malato e il servizio sanitario nazionale. L'approccio integrato, infatti, permette diagnosi più precoci, trattamenti personalizzati e un miglior utilizzo delle risorse sanitarie.
«La multidisciplinarietà si deve sempre più spostare nelle fasi precoci delle neoplasie prostatiche, vescicali, testicolari e renali», sottolinea Sergio Bracarda, Presidente Nazionale SIUrO. «È quanto hanno dimostrato molte evidenze scientifiche emerse negli ultimi congressi di oncologia internazionali. L’assistenza da parte di un team, composto da diversi specialisti, è un consolidato e imprescindibile elemento di qualità nell’inquadramento iniziale e nella valutazione di tutti i tumori urologici. Per anni la gestione delle fasi precoci della patologia è stata patrimonio quasi esclusivo dello specialista d’apparato. Adesso il nuovo approccio prevede già dall’inizio il coinvolgimento di diversi professionisti che insieme possono valutare altre strade, anche multidisciplinari, rispetto al solo intervento valutando di concerto sia la possibilità di guarigione che i possibili effetti collaterali legati alle scelte effettuabili».
QUALE CURA SCEGLIERE PER LA PROSTATA?
Il tumore della prostata, la neoplasia maschile più diffusa in Italia, è stato il primo tumore urogenitale per cui si è adottato un approccio multidisciplinare in modo strutturato e diffuso. Date le diverse opzioni terapeutiche disponibili, il coinvolgimento di più specialisti - come anatomopatologi, medici nucleari, radiologi, geriatri e farmacologi, oltre agli urologi, oncologi medici e radioterapisti -, è fondamentale fin dalla diagnosi. Parliamo di chirurgia, ormonoterapia, radioterapia, chemioterapia e attesa vigile, o sorveglianza attiva, a seconda dell'età del paziente. Ogni approccio dipende dal tipo e stadio del tumore, dalle caratteristiche del paziente e dalle sue preferenze. Non ha senso, pertanto, parlare di cura migliore applicabile a livello universale.
LA SORVEGLIANZA ATTIVA
Molte forme di neoplasia prostatica non sono molto aggressive, tendono a rimanere localizzate e a crescere poco. In questi casi, anche in considerazione dell’età del paziente, può risultare preferibile mantenere il quadro sotto controllo tramite sorveglianza attiva, piuttosto che intervenire aumentando il rischio di effetti collaterali come ad esempio impotenza e incontinenza. La sorveglianza attiva, infatti, solitamente riservata ai pazienti più giovani con una buona aspettativa di vita, è finalizzata a curare il tumore in futuro, se progredisce diventando aggressivo.
«Si calcola che il 40% dei nuovi casi – spiega Giario Conti, Segretario e Tesoriere SIUrO – è caratterizzato da una bassa o del tutto assente aggressività. Si possono quindi proporre al paziente anche protocolli di sorveglianza attiva o di vigile attesa in alternativa a chirurgia o radioterapia. In altre parole possiamo limitarci ad un accurato monitoraggio di una neoplasia che risulta localizzata e ai primissimi stadi. Si evitano così trattamenti invasivi che possono essere inutili, e a volte addirittura controproducenti, per il benessere psico-fisico del paziente».
Non dimentichiamo che «la chirurgia radicale o i cicli di radioterapia sono tuttavia cure salvavita e indispensabili per molte forme di tumore», sostiene Alberto Lapini, Past President SIUrO. «Ma nei casi meno gravi non determinano benefici sostanziali anche se a volte possono determinare effetti collaterali non trascurabili come incontinenza o impotenza. Si tratta di due delle controindicazioni più temute tra i nostri pazienti. La sorveglianza attiva è un’opzione di trattamento che può essere applicata anche ad altre patologie uro-oncologiche. Viene valutata anche nel carcinoma renale e in quello testicolare. Deve essere compito del team multidisciplinare uro-oncologico identificare i pazienti che possono accedere a questi particolari monitoraggi di malattia».
AUMENTANO I GUARITI
Il carcinoma prostatico è divenuto, nell’ultimo decennio, il tumore più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali. Per quanto più frequente negli over 65 anni, il tumore della prostata rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a partire dai 50 anni di età.
«Sono tutte forme di cancro che possono essere affrontate integrando le diverse tipologie di cure disponibili», afferma Rolando Maria D’Angelillo, Vicepresidente SIUrO. «La radioterapia, per esempio, viene di solito utilizzata da sola o in combinazione con altre terapie in un paziente su quattro colpito da cancro della prostata. La combinazione dei trattamenti comporta spesso un incremento in termini di sopravvivenza e guarigione. È stato dimostrato che con la gestione del team uro-oncologico nel 25% dei casi viene raccomandato un trattamento multimodale».
LA MULTIDISCIPLINARIETÀ (NON) È PER TUTTI
La multidisciplinarietà, oltre a migliorare guarigione e sopravvivenza, può favorire anche la partecipazione decisionale del paziente e dei suoi caregiver al percorso di cura. Purtroppo, però, non è garantita uniformemente sul territorio nazionale.
«Anche se prevista in quasi tutti i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) – conclude il Presidente Bracarda – la gestione collegiale dei tumori urologici non sempre viene garantita, sull’intero territorio nazionale. La nostra Società Scientifica da 34 anni promuove in tutta Italia la cultura della multidisciplinarietà nel trattamento delle patologie uro-oncologiche. È un approccio ormai divenuto indispensabile, soprattutto considerando la grande evoluzione dei trattamenti registrata negli ultimi anni».
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Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile