Una diagnosi su tre non richiede l’intervento o le terapie specifiche. La qualità della vita dei questi pazienti rimane alta. E per le casse dello Stato il risparmio non è da trascurare
Il tumore della prostata, al centro del programma Salute al Maschile della Fondazione Veronesi, rappresenta la neoplasia più diffusa nell’uomo: 35mila le diagnosi effettuate nel 2015. Ma quasi un caso su tre ha dimensioni ridotte e aggressività minima.
Di conseguenza può non essere trattato. È sufficiente osservarlo nel tempo con attenzione: da qui la definizione di sorveglianza attiva.
Esami specifici (dosaggio dell’antigene prostatico specifico) e controlli periodici (biopsie diagnostiche, ecografia prostatica transrettale e risonanza magnetica multiparametrica), in questi casi, permettono di tutelare la salute dell’interessato tanto quanto la chirurgia radicale.
Con un vantaggio per il paziente e per le casse del Sistema Sanitario Nazionale.
TUMORE ALLA PROSTATA: QUANDO
SI PUO’ EVITARE L’INTERVENTO?
COME SPIEGARE L’AUMENTO DELLE DIAGNOSI?
Il tema della sorveglianza attiva è oggi molto sentito, dal momento che negli ultimi venticinque anni si è assistito a un aumento delle diagnosi di tumore alla prostata.
La malattia è davvero più diffusa oggi che in passato? In parte sì, ma non in una misura tale da giustificare le statistiche attuali.
E comunque è molto spesso curabile, se quasi nove pazienti su dieci risultano vivi cinque anni dopo aver terminato le terapie.
A incidere è stata anche la diffusione del dosaggio dell’antigene prostatico specifico (Psa) - indicato di norma dallo specialista o dal medico di base dopo i cinquant’anni o anche prima, se si soffre di disturbi urinari o se c’è familiarità diretta per questo tumore - e l’aumento del numero delle biopsie diagnostiche, «corresponsabili» della crescita delle diagnosi di carcinoma prima dell’insorgenza dei sintomi clinici.
Questo ha portato a individuare anche molti casi non significativi: come i tumori indolenti E di piccole dimensioni, la maggior parte dei quali è oggetto di trattamenti inappropriati perché non necessari dal punto di vista oncologico.
Ecco perché la comunità degli urologi sempre più spesso parla di sovra-diagnosi e sovra-trattamento della malattia.
La casistica è ormai ampia per poter dire che un tumore alla prostata su tre (soprattutto nei pazienti più anziani) non necessita di trattamenti terapeutici.
Cosa fare per avere una prostata in salute?
IN COSA CONSISTE LA SORVEGLIANZA ATTIVA
È Riccardo Valdagni, direttore del programma prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica (Siuro), a spiegare in cosa consiste la sorveglianza attiva.
«Nel nostro Paese ancora troppi uomini con un carcinoma prostatico ricevono cure che possono avere severi effetti collaterali a carico della sfera sessuale, urinaria e rettale. La sorveglianza attiva modifica l’approccio tradizionale che prevede quasi sempre un trattamento radicale dopo la diagnosi del tumore.
Senza essere sottoposto a una delle terapie radicali come chirurgia, radioterapia o brachiterapia, il paziente con tumore indolente è sottoposto a esami e controlli periodici.
Questa vale per tutta la vita o fino a quando la malattia non modifica le sue caratteristiche iniziali. Se la patologia cambia siamo in grado di interrompere il percorso osservazionale, intervenire tempestivamente e indirizzare il paziente al trattamento».
CHI PUO’ «CURARSI» CON LA SORVEGLIANZA ATTIVA?
Ad avvantaggiarsi attraverso un simile percorso sono i pazienti che presentano delle caratteristiche ben precise che identificano i tumori di piccole dimensioni e di bassa aggressività biologica.
A fare la differenza sono i valori del Psa (deve essere inferiore a 10 nanogrammi per millilitro) il punteggio di Gleason (non oltre sei) e lo stadio clinico (inferiore a cT2a). Ma importante è soprattutto che «i pazienti aderiscano in maniera stretta al calendario dei controlli periodici», prosegue Valdagni, responsabile dello studio “Siuro PRIAS ITA”, che ha coinvolto 850 pazienti in dieci centri per valutare l’efficacia della sorveglianza attiva nella gestione del tumore alla prostata. «Occorre sfatare l’errata convinzione che lo specialista consigli questa strategia quando non c’è nulla da fare».
Tutt’altro. Se il tumore può essere tenuto sotto controllo attraverso una stretta «osservazione», vuol dire che è meno grave del previsto.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).