Grazie all’utilizzo di farmaci sempre più efficaci e alla diagnosi precoce, dagli anni ‘90 ad oggi il rischio di recidiva si è dimezzato
Anche quando il tumore al seno è localizzato e non ha dato luogo a metastasi un rischio di recidiva, anche a distanza di anni, c’è sempre. Dagli anni ‘70 ad oggi però le possibilità che ciò accada si sono progressivamente ridotte grazie all’utilizzo della terapia adiuvante. Ad aprire la strada con il primo pionieristico protocollo di cura fu il professor Gianni Bonadonna all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Ora, grazie a strategie sempre più personalizzate, le probabilità di recidiva a 10 anni dalla diagnosi sono passate da un 20,5% a fine anni ‘90 a un 11,7% nel periodo 2005-2009. Un rischio pressoché dimezzato come dimostrato in uno studio da poco pubblicato da The Lancet da parte dell’Early Breast Cancer Trialists' Collaborative Group (EBCTCG).
IDENTIKIT DEL TUMORE AL SENO
Nel 2023, secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, nel nostro Paese sono stati diagnosticati 55.700 casi di tumore al seno. Fortunatamente la maggior parte di essi viene intercettata quando la malattia non è ancora metastatica, una caratteristica che aumenta le probabilità di guarigione e sopravvivenza nel lungo periodo. La prima strategia di cura, specialmente nei casi in cui il tumore è di piccole dimensioni, è rappresentata dalla chirurgia. Le fasi successive invece dipendono dalle caratteristiche del tumore. Capire se e quale terapia somministrare dipende essenzialmente dallo stadio di sviluppo della neoplasia, dalla presenza di cellule cancerose a livello dei linfonodi, dalla presenza di determinati recettori (ER e HER2) e dalle caratteristiche molecolari del tumore.
IL RUOLO DELLA TERAPIA ADIUVANTE
Per i tumori non metastatici fino al 1970 chirurgia e radioterapia erano le sole strategie utilizzate per la cura delle neoplasie al seno. Ma anche se presi in tempo, questi tumori presentavano un tasso di recidiva importante. A 10 anni di distanza dall’operazione chirurgica di rimozione circa il 50-60% andava incontro ad un secondo tumore. A cambiare radicalmente le prospettive fu l’oncologo italiano Gianni Bonadonna dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Lo scienziato fu il primo al mondo a teorizzare e mettere a punto un protocollo randomizzato di terapia adiuvante per provare a ridurre il rischio di recidiva. Lo studio -pubblicato insieme al professor Umberto Veronesi nel 1976 sulle pagine del New England Journal of Medicine- dimostrò che nelle donne con carcinoma mammario operabile, l’utilizzo di una combinazione di ciclofosfamide, metotrexato e fluorouracile (CMF) era in grado di ridurre le probabilità di recidiva rispetto al solo approccio chirurgico. Un trattamento capace dunque di eliminare le eventuali cellule tumorali residue. Negli anni successivi, grazie alla possibilità di indagare in maniera più approfondita le caratteristiche della malattia, al protocollo CMF sono state affiancate numerose altre terapie.
LE CURE DISPONIBILI
Oltre alla classica chemioterapia, una delle principali innovazioni nel trattamento adiuvante è stata la terapia endocrina con il tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi nei tumori ormonosensibili. Queste neoplasie -che rappresentano circa il 70% di tutti i tumori al seno- hanno una particolare caratteristica: le cellule tumorali esprimono numerosi recettori a cui si legano gli ormoni. Quando ciò accade viene stimolata la crescita tumorale. Bloccando l’attività con questi farmaci, le cellule non hanno più il “carburante” necessario per crescere. Un altro grande passo avanti nel contrasto alle recidive è stato l’avvento del trastuzumab e dei suoi derivati. In questo caso il farmaco in questione agisce sui recettori HER2, sovraespressi in circa il 20% dei tumori al seno. Una percentuale però destinata ad aumentare notevolmente poiché, come abbiamo raccontato qui, anche in presenza di pochissime quantità di recettore si ha un effetto. HER2, quando si attiva grazie alla presenza del fattore di crescita EGF, promuove la moltiplicazione cellulare. Ma nei tumori al seno in cui è presente una sovrabbondanza di HER2, l’attivazione avviene anche in assenza di EGF. Ecco perché bloccare i recettori è fondamentale per evitare la crescita incontrollata delle cellule tumorali. Altri farmaci che stanno contribuendo a migliorare notevolmente la prognosi delle pazienti sono gli inibitori di CDK4/6 -utilizzati per i tumori ormonosensibili ad alto rischio- e i PARP inibitori -utilizzati nelle pazienti con mutazioni BRCA1/2 e carcinoma mammario HER2-negativo. Infine anche l’immunoterapia si è ritagliata recentemente uno spazio come terapia adiuvante ed in particolare, come abbiamo raccontato qui, nel tumore al seno triplo negativo.
I RISULTATI DELLO STUDIO
Nell’analisi condotta nell’ambito dell’Early Breast Cancer Trialists' Collaborative Group, gli autori dello studio hanno raccolto i dati provenienti da oltre 155 mila pazienti con tumore al seno in stadio precoce e sottoposte a trattamento adiuvante. Dalle analisi è emerso che il rischio di recidiva a 10 anni per tumori esprimenti recettori estrogenici (i piu’ comuni) è sceso dal 20,5% negli anni ’90 all’11,7% per le pazienti diagnosticate dopo il 2005. Un rischio dunque dimezzato. Non solo, la riduzione del rischio di recidiva si è mantenuta anche nelle pazienti più giovani e con tumori biologicamente più aggressivi (incluso nei casi di tumori non esprimenti recettori estrogenici). Un risultato straordinario frutto dell’avvento di terapie sempre più efficaci, diagnosi precoce e capacità di caratterizzare al meglio la patologia.
IL COMMENTO DEGLI ESPERTI
L’analisi condotta dall’Early Breast Cancer Trialists' Collaborative Group e pubblicata sul The Lancet è stata accompagnata da un editoriale degli oncologi Paolo Tarantino e Sara M. Tolaney del Dana Farber Cancer Institute e Harvard Medical School di Boston (USA). «A quasi 50 anni dalla prima dimostrazione che la chemioterapia adiuvante multi-farmaco poteva ridurre il rischio di recidiva, i dati continuano a confermare l’impatto di una diagnosi precoce e di trattamenti mirati nel migliorare gli esiti a lungo termine per le pazienti con tumore al seno», commentano gli esperti. «Tuttavia, avvertono, i progressi raggiunti non possono tradursi in benefici reali senza un accesso equo alle cure oncologiche, ancora disomogeneo sia negli Stati Uniti che a livello mondiale». Secondo i due autori, «i risultati dell'analisi EBCTCG rappresentano un richiamo a massimizzare gli sforzi per garantire che ogni paziente con diagnosi di tumore al seno, indipendentemente da sesso, razza, reddito e località geografica, possa beneficiare di questi avanzamenti».
IL FUTURO
Ma se tutte queste terapie sono già disponibili da tempo, altre nuove strategie di cura si stanno affacciando. Ed è questo il caso degli anticorpi coniugati, farmaci composti da un anticorpo in grado di riconoscere i recettori di superficie delle cellule cancerose a cui vengono coniugate molecole di chemioterapico in grado di bloccare la crescita del tumore. Utilizzati con successo nelle forme metastatiche, sempre più sperimentazioni cliniche in modalità adiuvante hanno come protagonisti gli anticorpi coniugati. Recentemente, come raccontato qui, uno studio coordinato proprio da Paolo Tarantino ha dimostrato che nel tumore al seno HER2-positivo in stadio iniziale l’utilizzo di un anticorpo coniugato (T-DM1) come terapia adiuvante è risultato altamente efficace nel prevenire le recidive -al pari della chemioterapia- migliorando però in maniera importante la qualità di vita delle pazienti.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.