Una ricerca britannica identifica 93 mutazioni potenzialmente responsabili delle malattia. È la conferma che le terapie del futuro non potranno prescindere dallo studio del genoma e dalla personalizzazione delle cure
Il tumore al seno rimane il più diffuso tra le donne: 48mila le nuove diagnosi effettuate in Italia nel 2015. Nel complesso i tassi di guarigione sono cresciuti nell’ultimo ventennio: in media quasi nove donne su dieci (l’87 per cento) risultano vive a cinque anni dalla diagnosi. A «frenare» l’ascesa è però l’estrema eterogeneità della malattia. Nonostante l’elevato numero di casi, non è infatti azzardato affermare che ogni paziente sia «diverso» da un altro. Le alterazioni genetiche responsabili della malattia risultano infatti più eterogenee di quanto non si sapesse fino a pochi anni fa. Oltre ai geni Brca (1 e 2), responsabili della produzione di due proteine che svolgono un importante ruolo di controllo nei processi di replicazione delle cellule e balzati agli onori della cronaca a seguito del «caso-Jolie», molteplici sarebbero quelli che, se alterati, potrebbero dare origine alla neoplasia. L’ipotesi, che è la stessa su cui lavora la nostra ricercatrice Irene Catucci, è stata confermata da due ricerche pubblicate sulle riviste Nature e Nature Communications.
Cosa fare se c’è una familiarità per il tumore al seno?
UNA MALATTIA DALLE TANTE FACCE
Nel corso dello studio, condotto da un gruppo di ricercatori del Wellcome Trust Sanger Institute di Hinxton (a pochi chilometri da Cambridge, in Gran Bretagna), sono stati analizzati i profili genetici di 560 cellule tumorali prelevate da altrettanti pazienti (europei, statunitensi e asiatici). L’esperienza ha fornito informazioni importanti, e finora sconosciute, sull’origine molecolare di una malattia che viene riconosciuta come unica, ma in realtà - come accade per la quasi totalità dei tumori - può essere molto differenziata da un caso all’altro. Sarebbero 93 infatti i geni che, se mutati, darebbero origine alla malattia. Una scoperta che chiarisce - più di quanto non lo fosse finora - perché gli specialisti sono al lavoro da anni per mettere a punto trattamenti «cuciti» su misura del paziente: ecco una delle nuove sfide della medicina di precisione. «Oggi sappiamo con certezza che le mutazioni genetiche e la loro posizione sul genoma del cancro influenzano la risposta terapeutica», afferma Ewan Birny, direttore dell’Istituto Europeo di Bioinformatica, tra gli autori della pubblicazione. A incidere sulla variabilità genetica la fase di crescita cellulare, l’esposizione a eventuali sostanze carcinogene (anche attraverso la dieta) o, più semplicemente, l’alterazione dei meccanismi di riparazione del Dna da parte della cellula.
MEDICINA DI PRECISIONE: ECCO COME CI CUREREMO IN FUTURO
NON SOLTANTO BRCA 1 E 2
Tra le diverse evidenze della ricerca, a colpire gli scienziati è stato anche il riscontro che le donne affette da tumore al seno in quanto portatrici di una mutazione dei geni Brca - che espone a un rischio di sviluppare la malattia (ma anche il tumore alle ovaie) nel corso della vita più alto tra il 45 e il 90 per cento - risultavano in realtà colpite da neoplasie tra loro differenti e caratterizzate dalla presenza di altre alterazioni genetiche. Va dunque ampliandosi la conoscenza dell’«identikit» del tumore al seno. Alcuni geni responsabili della malattia potrebbero mancare all’appello, ma gli scienziati sono convinti di aver tolto il velo a buona parte dei meccanismi responsabili dell’avvio del processo di malattia. Dopo aver scoperto il ruolo del gene alterato Her2, e messo a punto un anticorpo monoclonale (trastuzumab) in grado di colpirne il prodotto alterato, l’obiettivo adesso è sviluppare farmaci specifici per singolo target. Una missione che richiederà almeno dieci anni, tempo minimo per completare la sperimentazione, e che probabilmente guarderà in primis a quei dieci geni scoperti responsabili del sessanta per cento delle mutazioni alla base della malattia.
TUMORE AL SENO ANCHE PER GLI UOMINI
Nello studio sono stati arruolati anche quattro uomini, al fine di valutare i meccanismi genetici alla base della malattia maschile. Benché sia molto più raro, il tumore al seno può infatti colpire anche gli uomini: in media ogni anno in Italia si contano circa trecento nuovi casi annui di malattia. Le probabilità crescono all’aumentare dell’età, se è presente familiarità per il tumore al seno o sindrome di Klinefelter, una malattia genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X in più che comporta ridotti livelli di ormoni maschili e più elevati livelli di ormoni femminili. Finora la malattia - scoperta spesso con maggiore ritardo rispetto a quanto non accada nelle donne, spesso perché gli uomini ignorano di poter esserne colpiti - è stata trattata allo stesso modo di quanto avveniva nella donna. Ma scoperte come quest’ultima contribuiranno alla messa a punto di terapie ad hoc anche per gli uomini. Nel caso specifico, come documentato da una ricerca presentata nel corso dell’ultimo congresso europeo sul tumore al seno svoltosi ad Amsterdam, la neoplasia più frequente è quella luminale (le cellule tumorali esprimono i recettori ormonali per estrogeni e progesterone e dunque ben rispondono alle terapie). Meno frequenti i casi di tumori lobulari, Her2 positivi o tripli negativi, più aggressivi e tipici nelle donne.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).