Tra gennaio e ottobre 2020, a causa della pandemia, sono saltati globalmente quasi la metà degli screening oncologici. Ciò significa un ritardo nelle diagnosi di tumore
La pandemia, a livello globale, ha causato la riduzione di quasi la metà degli screening oncologici. Un calo impressionante certificato per la prima volta su scala mondiale grazie ad uno studio tutto italiano, ad opera dei ricercatori del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell'Università di Bologna. L'analisi, guidata dal professor Paolo Boffetta, lascia poco spazio alle interpretazioni: nel periodo tra gennaio 2020 e ottobre 2020 si è registrata una riduzione del 46,7% negli screening per il tumore al seno, del 44,9% per il tumore del colon-retto e del 51,8% per il cancro della cervice uterina. Riduzione che sta a significare diagnosi più tardive. I risultati sono stati pubblicati dalla rivista JAMA Oncology.
L'UTILITÀ DEGLI SCREENING ONCOLOGICI
Nella lotta al cancro prima si arriva ad una diagnosi certa e maggiori sono le probabilità di cura. Per arrivare a diagnosticarli in tempo utile per essere trattati, un efficace strumento è rappresentato dagli screening oncologici, particolari esami -in Italia offerti gratuitamente dal Sistema Sanitario Nazionale- volti ad intercettare la malattia in quelle fasce di età maggiormente a rischio. Ad oggi gli screening che si sono dimostrati utili a tale scopo sono la mammografia per il tumore al seno, la ricerca del sangue occulto nelle feci per il tumore del colon-retto e l'Hpv-test per il tumore della cervice uterina. Un dato su tutti deve fare riflettere circa l'utilità di questi esami: le ultime stime indicano che circa il 30% delle nuove diagnosi di tumore derivi proprio dalle attività di screening. Strumenti dunque estremamente importanti nella lotta al cancro.
L'EFFETTO DELLA PANDEMIA
Essendo gli screening oncologici attività che si effettuano prevalentemente all'interno delle strutture ospedaliere, complice la pandemia scoppiata ad inizio 2020 le attività di routine degli ospedali sono state fortemente ridimensionate e riconvertite in assistenza ai malati di Covid-19. Questo si è tradotto in una drastica riduzione negli inviti -e di conseguenza nell'adesione- a partecipare agli screening. Lo studio da poco pubblicato su JAMA Oncology certifica per la prima volta l'impatto globale della pandemia sulla riduzione di queste attività. Monitorando la letteratura scientifica e utilizzando complessi calcoli statistici, gli scienziati italiani sono riusciti a comparare i numeri delle attività di screening per macro-aree geografiche effettuati nel periodo gennaio-ottobre 2020 con lo stesso periodo pre-pandemia.
Per quanto riguarda lo screening mammografico, la riduzione è stata del 46,7% con punte del 74,3% nel mese di aprile. Lo screening per la ricerca del sangue occulto nelle feci -spia di possibile tumore del colon-retto- una riduzione pari al 44,9% con punte del 69,3% sempre in aprile. Nello screening per il tumore della cervice uterina si sono verificati meno esami pari al 51,8% con punte del 78,8% in marzo. Una delle particolarità dello studio è stata l'analisi geografica. Per quanto riguarda lo screening mammografico si è verificata una maggiore riduzione degli esami in Europa rispetto agli Stati Uniti. La ragione è presto detta: mentre in USA l'attività avviene prevalentemente in ambulatori privati tramite assicurazione sanitaria, in Europa quasi tutta l'attività è gestita dalla sanità pubblica.
FOCUS ITALIA
Quanto ottenuto nello studio da poco pubblicato non è che una conferma rispetto a quanto già osservato nel nostro Paese dall'Osservatorio Nazionale Screening. Nel 2020 oltre 4 milioni di inviti e 2,5 milioni di esami sono venuti meno rispetto al 2019. Tutto ciò si è tradotto in 5 mesi di ritardo per lo screening per il tumore del collo dell’utero, in 4 mesi e mezzo per lo screening per il tumore della mammella e 5 mesi e mezzo per lo screening colorettale. Da un punto di vista numerico tutto ciò significa essersi "persi" 3.300 carcinomi mammari, 2.700 lesioni cervicali CIN2+, quasi 1.300 carcinomi colorettali e oltre 7.400 adenomi avanzati in meno rispetto al 2019. Diagnosi che avverranno lo stesso ma in una fase di malattia più avanzata e dunque più difficile da curare.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.