L'efficacia della radioterapia durante l’intervento è stata dimostrata da uno studio italiano condotto per dieci anni
La storia della lotta al cancro del seno è da sempre segnata da tecniche innovative che hanno permesso di cambiare il corso della malattia. Dopo quadrantectomia e linfonodo sentinella, la radioterapia intraoperatoria si inserisce di diritto tra quei rivoluzionari metodi che cambieranno il modo di approcciarsi ai tumori. Una testimonianza è la pubblicazione sulla rivista Lancet Oncology di uno studio ad opera dell’equipe di ricerca del professor Umberto Veronesi. Per i tumori del seno in fase iniziale la radioterapia intraoperatoria, effettuata durante l’intervento chirurgico, può sostituire la radioterapia esterna. Un notevole passo in avanti se si considera che un ciclo classico di radioterapia può durare per alcuni mesi.
LA STORIA
Negli anni ’80 le statistiche riguardanti il tumore al seno erano impietose: solo 3 donne su 10 sconfiggevano la malattia. Oggi, 2013, il rapporto è completamente cambiato: quasi il 90 per cento si può dichiarare guarita, ovvero non presenta nuovamente la malattia a distanza di dieci anni dalla conclusione delle terapie. Un successo che affonda le sue radici nelle sempre più moderne tecniche operatorie, diagnostiche e radioterapiche.
LA TECNICA
A differenza della radioterapia esterna, quella intraoperatoria consiste nella metodica che associa la radioterapia all'intervento chirurgico. Ciò avviene somministrando una dose di radioterapia direttamente sul tumore per eliminarne il tessuto visualizzato ma non aggredibile chirurgicamente. Uno dei vantaggi di questa tecnica è di poter erogare le radiazioni direttamente sul bersaglio risparmiando le strutture sane.
LO STUDIO
Nella ricerca targata Istituto Europeo di Oncologia i medici italiani, guidati da Roberto Orecchia e Umberto Veronesi, hanno sperimentato il metodo ELIOT (Electron IntraOperative Therapy). La tecnica si basa sull’utilizzo di un acceleratore lineare con un braccio mobile in grado di concentrare il fascio di elettroni direttamente sull’area da irradiare in seguito alla rimozione chirurgica. Allo studio hanno partecipato 1305 pazienti con tumore al seno iniziale candidate all’intervento chirurgico di quadrantectomia: metà delle donne è stata trattata con ELIOT durante l’intervento e l’altra metà con radioterapia esterna tradizionale. A 10 anni i due gruppi hanno mostrato una identica sopravvivenza, intorno al 95 per cento. La percentuale di recidive è risultata lievemente più alta ( 2.5% rispetto a 0.4%) nel gruppo sottoposto a ELIOT.
IL COMMENTO
«La conferma dell’efficacia della ELIOT - spiega Veronesi - è un’ottima notizia per il mondo femminile. Non dimentichiamo che le donne che vivono lontano da un buon centro di radioterapia, preferiscono a volte sottoporsi ad una mastectomia, anche se non necessaria, piuttosto che affrontare viaggi e costi giornalieri per diverse settimane, per sottoporsi alle radiazioni esterne. Purtroppo la discriminazione diventa quindi anche economica: in genere sono le donne che vivono in condizioni meno agiate ad avere le maggiori difficoltà a muoversi per curarsi. La Radioterapia intraoperatoria risolve questo problema e per questo penso dovrebbe diventare un trattamento standard per tumori del seno iniziali». Non solo, la tossicità con la radioterapia intraoperatoria risulta minore: «evitando di irradiare la cute e la regione vicina al polmone e il cuore si evitano anche molti effetti collaterali. La tossicità globale dell’intero trattamento per il tumore del seno risulta quindi molto ridotta» spiega Orecchia.
IL FUTURO
Lo studio, oltre a dimostrare la bontà del metodo, mette però in guardia dalla possibilità di recidiva. «In questi casi - spiega Veronesi - ci aspettavamo che, irradiando solo un piccola parte della ghiandola, il resto rimanesse a maggior rischio. Tuttavia abbiamo scoperto che questo principio non vale per tutti i casi. Abbiamo identificato precise caratteristiche che selezionano un sottogruppo di pazienti a cui associare alla Eliot un breve ciclo di terapia esterna. In questo modo il rischio di recidiva è ridotto per tutte al minimo».
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.