I conflitti armati aumentano anche il rischio di tumori. Difficoltà di accesso alle cure e esposizione a sostanze cancerogene sono le cause principali
L’impatto della guerra si estende ben oltre i confini dei campi di battaglia, portando con sé devastazioni che perdurano per anni, se non decenni. Tra le molte tragedie causate dai conflitti armati -morte, disabilità, povertà, fame- emerge anche un legame con l’incidenza di tumori. Il collegamento tra guerra e cancro non è solo una questione di accesso compromesso alle cure sanitarie, ma anche di esposizione a contaminanti pericolosi dovuta ai bombardamenti, che causa un aumento del rischio di sviluppare neoplasie. Infatti, studi condotti nel tempo, hanno mostrato che coloro che vivono in contesti di guerra hanno una maggiore probabilità di sviluppare tumori, come dimostrato dall'aumento del cancro alla cervice uterina in Vietnam e del cancro al seno nell’ex Jugoslavia dopo le rispettive guerre. Inoltre, durante il periodo immediatamente postbellico, in Croazia, è stato osservato un aumento dei casi di cancro gastrico e testicolare. In Iraq, i decessi correlati al cancro sono aumentati di 4,9 casi all'anno, equivalenti a un incremento del 50% della mortalità tra il 2001-2002 e il 2003-2010, che comprendono il periodo del conflitto armato. Le cause di questo incremento sono molteplici e comprendono l’esposizione a sostanze nocive rilasciate nell’aria durante i bombardamenti, l’uso di armi chimiche e l’esposizione alle radiazioni ionizzanti.
NON SOLO AMIANTO
Secondo le stime delle Nazioni Unite, circa 800.000 tonnellate di macerie prodotte dai bombardamenti a Gaza potrebbero essere contaminate con amianto. Questa sostanza, chiamata anche asbesto, appartiene alla classe dei silicati. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, le concentrazioni nell'aria di amianto sono enormemente elevate nelle zone del conflitto. Le polveri di amianto sono associate a un rischio elevato di sviluppare il mesotelioma pleurico, un tipo di tumore che colpisce i polmoni, nei decenni successivi all’esposizione. Inoltre, l'amianto può anche causare tumori alla laringe e alle ovaie. Grazie alle sue proprietà isolanti e ignifughe, l'amianto è stato ampiamente utilizzato nelle costruzioni fino alla fine degli anni '80, quando i Paesi di tutto il mondo, inclusa Israele, hanno iniziato a introdurre restrizioni. Israele ha vietato completamente l'uso dell'amianto negli edifici nel 2011. Da quando è iniziato il conflitto, il paese ha bombardato regolarmente i campi profughi di Gaza, dove l’amianto è stato trovato negli edifici più vecchi e nelle baracche temporanee. La possibile presenza di amianto negli edifici bombardati è stata riportata anche in Ucraina, con gli stessi rischi per la popolazione, come ci aveva raccontato in questa nostra intervista il Professor Francesco Perrone, presidente AIOM - Associazione Italiana di Oncologia Medica in questa intervista.
Quando parliamo di amianto e sostanze volatili nocive e del loro impatto sulla salute, molte delle nostre conoscenze sono dovute agli studi condotti dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle del World Trade Center nel 2001, dove decine di migliaia di soccorritori, addetti alle operazioni di pulizia, nonché lavoratori e residenti dell'area circostante, furono esposti a potenziali cancerogeni. Le polveri degli edifici distrutti rimasero nell'aria per giorni e gli incendi causati dall'attacco arsero fino al dicembre 2001, esponendo i soccorritori e chiunque si trovasse nei pressi della zona a fumo e gas nocivi. I campioni raccolti identificarono la presenza di alcuni noti e sospetti cancerogeni, come amianto, arsenico, idrocarburi policiclici aromatici, bifenili policlorurati, furani policlorurati e diossine. Tutti gli studi condotti sulle popolazioni interessate hanno prodotto risultati coerenti: in primo luogo, i tassi di incidenza per tutti i tumori erano più elevati rispetto ai quelli della popolazione generale, anche se non tutti erano statisticamente significativi; in secondo luogo, ogni studio ha riportato tassi elevati, in particolare, di cancro alla prostata e alla tiroide. È, quindi, possibile immaginare che conseguenze simili si verifichino anche nelle zone interessate da conflitti, dove gli edifici vengono rasi al suolo quotidianamente.
LA GUERRA CHIMICA
Per "arma chimica" si intende qualunque sostanza o dispositivo capace di provocare morte o invalidità, sia temporanea che permanente, negli esseri umani e negli animali attraverso effetti tossici sui processi vitali. Queste armi furono impiegate per la prima volta su vasta scala durante la Prima Guerra Mondiale, da reparti specializzati su entrambi i fronti. Un esempio di arma chimica ad azione cancerogena, che fu ampiamente utilizzata durante la guerra del Vietnam dall'Aeronautica degli Stati Uniti (dal 1962 al 1971, ne spruzzò quasi 19 milioni di galloni), è l’erbicida chiamato “agente arancio”. Si tratta di un erbicida defoliante contenente diossina, sostanza cancerogena, che è stato associato a vari tipi di tumore. Nonostante la difficoltà di reperire dati quantitativi circa l’esposizione, nei veterani del Vietnam sono state evidenziate prove sufficienti di un’associazione tra l’agente arancio e tre tipi di tumore: sarcoma dei tessuti molli, linfoma non-Hodgkin e morbo di Hodgkin. Un’associazione, seppur più debole, è stata osservata anche per i tumori respiratori, il tumore alla prostata e il mieloma multiplo.
LO SPETTRO DEL NUCLEARE
Durante la Seconda Guerra Mondiale, le bombe atomiche sganciate sul Giappone uccisero direttamente fino a 210.000 persone. Tuttavia, molte altre morti vennero registrate negli anni seguenti. Un registro tumorale dei sopravvissuti alle bombe nucleari nelle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, che includeva quasi 80.000 persone, segnalava 8.613 nuovi casi di diagnosi di tumore tra il 1958 e il 1987. Per la maggior parte dei tumori solidi, l'esposizione acuta alle radiazioni, a qualsiasi età, aumenta il rischio di cancro per il resto della vita. Di conseguenza, con l'invecchiamento dei sopravvissuti, il tasso di eccesso di tumori solidi associati alle radiazioni rilasciate dalle bombe nucleari è aumentato. Per fornire una stima, l'esposizione media alle radiazioni dei sopravvissuti al bombardamento, entro 2.500 metri, aumenta il rischio di sviluppare tumori del 10% rispetto ai tassi normali specifici per età. Per una dose di 1,0 Gy (ovvero gray, l’unità di misura della dose assorbita di radiazione del sistema internazionale), l'eccesso corrispondente di cancro è circa del 50%. Da queste cifre si evince come l’utilizzo di un’arma nucleare, ad oggi, potrebbe avere un impatto devastante, non solo per i punti direttamente colpiti.
Lo spettro del nucleare aleggia ancora anche nella questione dell’uranio impoverito, legata in particolare alla guerra in Kosovo del 1998-1999 e alla precedente Guerra del Golfo. Questa sostanza, scarto del procedimento di arricchimento dell'uranio, è utilizzata come penetratore di munizioni utilizzate per distruggere mezzi blindati. L’uranio, se inalato, ingerito o incorporato a causa di schegge di proiettili, dà luogo a contaminazione interna. Sebbene, a tutt’oggi, non sia stato provato un legame causale e siano ancora in corso indagini, è stato osservato un aumento dei casi di linfoma di Hodgkin nei soldati, molti anche italiani, che hanno subito un’esposizione interna all’uranio impoverito. I militari italiani che hanno operato nei Balcani sono ancora seguiti per monitorare l’incidenza dei tumori. Attualmente, anche l’Ucraina è stata fornita dai paesi che la sostengono di proiettili all’uranio impoverito e, nel maggio del 2023, era stata segnalata la presunta esplosione del deposito di munizioni colpito dai russi, con il rischio dello sviluppo di una nube radioattiva.
PREVENZIONE, DIAGNOSI E CURA IMPOSSIBILI
Oltre al rischio legato alle sostanze liberate nell’ambiente durante i conflitti e alle armi utilizzate, la guerra interrompe e impedisce trattamenti efficaci contro il cancro. La guerra, infatti, sottrae risorse alla cura oncologica, causando in primis ritardi nella diagnosi (chi è coinvolto cerca rifugio e sicurezza, ignorando segni e sintomi preoccupanti e gli ospedali ancora in piedi sono sovraffollati, danneggiati o distrutti). I ritardi nella diagnosi e nella cura del cancro aumentano la mortalità: è stato riportato un aumento del rischio di morte fino all’8% per ogni 4 settimane di ritardo negli interventi chirurgici oncologici. In particolare, ad esempio, un ritardo di 12 settimane nell’intervento per il cancro al seno è associato a un aumento della mortalità del 26%. Correlazioni simili sono state riportate per il cancro alla vescica, al colon-retto, per i tumori testa-collo e per il tumore del polmone non a piccole cellule. Ritardi nei trattamenti sono anch'essi associati a un rischio di morte statisticamente più elevato per i tumori della vescica, del seno, del colon-retto, del polmone e della cervice uterina. L'intreccio tra guerra e salute rappresenta, quindi, una sfida complessa, che evidenzia quanto le conseguenze di un conflitto si estendano ben oltre la fine dei combattimenti. L’esposizione a sostanze tossiche, i ritardi nelle cure e la distruzione delle infrastrutture sanitarie lasciano segni profondi e difficili da riparare, che non risparmiano nessuna delle parti coinvolte.