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Oncologia
Roberta Altobelli
pubblicato il 18-10-2024

Conflitti e crisi umanitarie: l’impatto sui pazienti oncologici



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Conflitti armati e attacchi mirati alle strutture sanitarie compromettono gravemente le cure oncologiche, lasciando pazienti e medici ad affrontare sfide senza precedenti. Le interviste a Chiara Montaldo, Head of Medical Unit di Medici Senza Frontiere e al Professor Francesco Perrone, presidente AIOM

Conflitti e crisi umanitarie: l’impatto sui pazienti oncologici

Secondo i dati raccolti dal Conflict index del 2024, il rapporto annuale pubblicato a gennaio 2024 dall’Acled, organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i conflitti nel mondo, nel 2023 è stato registrato un aumento del numero di conflitti del 12% rispetto all’anno precedente e di oltre il 40% rispetto al 2020. Questo vuol dire che una persona su sei, nel mondo, vive in un’area in cui è presente un conflitto attivo. Tra i 234 Paesi e territori analizzati, in ben 168 si è verificato almeno un episodio di conflitto nel 2023 e più di 50 sono i paesi caratterizzati da conflitti classificati ad alta intensità. L’impatto delle guerre sul sistema sanitario è devastante sia a breve che a lungo termine e la salute diventa, paradossalmente, qualcosa di non prioritario per chi vive nelle aree colpite. Inoltre, ospedali e personale sanitario sono sempre più nel centro del mirino come veri e propri target di guerra. Come si ripercuote tutto questo sulla prevenzione, diagnosi e cura dei tumori? Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Perrone, presidente di AIOM - Associazione Italiana di Oncologia Medica e con la dottoressa Chiara Montaldo, Head of Medical Unit di Medici Senza Frontiere.

CONSEGUENZE DIRETTE SUI MALATI ONCOLOGICI

Un recente editoriale pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology riporta che in Ucraina, dall’inizio del conflitto, i servizi di radioterapia sono interrotti quotidianamente dagli allarmi aerei, dai blackout e dalla costante paura di attacchi missilistici. L'accesso dei pazienti alla radioterapia e ai pochi centri disponibili è inoltre ostacolato dalle difficoltà negli spostamenti, resi complicati dagli attacchi aerei, dai coprifuoco e dalla presenza di ordigni esplosivi. Altre sfide includono il sottofinanziamento delle cure specialistiche, l'aumento dei costi dei medicinali e delle attrezzature essenziali, l’interruzione della ricerca clinica e della formazione medica e lo sfollamento o la morte degli operatori sanitari. A Gaza, le cure oncologiche non esistono più a causa del conflitto. «Dai nostri colleghi oncologi ucraini abbiamo testimonianze di pazienti ricoverati nei sottoscala, anche se “ricoverati” è probabilmente una terminologia poco idonea per descrivere pazienti appoggiati su un letto di fortuna per sottoporsi alla chemioterapia. Le difficoltà logistiche sono enormi, così come la possibilità di reperire farmaci. E non parliamo delle ultime innovazioni in oncologia, ma di semplici chemioterapici che, oggi, in molti casi, non rappresentano più i migliori standard di cura. Le testimonianze da Gaza sono ancora più complesse da reperire, perché molti dei nostri colleghi non riescono a comunicare, nel migliore dei casi. Inoltre, è necessario ricordare che molti conflitti avvengono in aree del mondo già di per sé deboli, in cui i sistemi sanitari e la diagnosi, cura e prevenzione dei tumori non possono essere confrontati con quelle dei paesi occidentali. Condizioni che vengono esasperate e cronicizzate dalla guerra. E queste difficoltà non riguardano solo il paese aggredito, ma anche quelle che apparentemente sembrano le parti più forti del conflitto» spiega Perrone. Considerazioni che vengono confermate dall’esperienza sul campo di Chiara Montaldo di Medici Senza Frontiere: «I conflitti non causano solo danni diretti alle strutture sanitarie, ma anche danni indiretti che permangono nel lungo termine. L’accesso alle strutture ospedaliere che restano in piedi è complicato e spesso non sicuro, crollano tutti i sistemi di prevenzione, i pazienti con malattie croniche non riescono più a curarsi, si interrompono le diagnosi, mancano anche i farmaci più semplici».

IN GUERRA NESSUNA PRIORITA' ALLA SALUTE

La difficoltà di accedere alle cure oncologiche non è solo logistica e dovuta alla distruzione delle strutture sanitarie. Infatti, in guerra, la salute paradossalmente perde in importanza tra le priorità delle persone, anche quando si tratta di malattie oncologiche: «La cura, la diagnosi e la prevenzione oncologica passano in secondo piano nel momento in cui un paese entra in guerra. Alcuni pazienti, quando possono, provano ad andare all'estero, grazie anche alle forme di cooperazione internazionale strutturate, come avvenuto per la guerra in Ucraina, ma non sempre è possibile» spiega Perrone. «Durante i conflitti, le priorità delle persone cambiano e, ammesso che le strutture sanitarie più vicine siano ancora funzionanti, preferiscono rinunciare alle terapie piuttosto che rischiare di finire sotto un bombardamento, tra gli spari di due fazioni o sotto colpi di machete. Quindi il conflitto, anche di fronte a una malattia che fa paura, diventa la priorità» conferma Chiara Montaldo. «Il nostro ruolo, come Medici Senza Frontiere, è proprio quello di cercare di avvicinare la sanità e le cure alle persone, per quanto possibile, cercando di rispettare anche la sicurezza dei nostri staff. Coinvolgiamo i leader di comunità, le persone della comunità stessa, a seconda delle loro competenze, cercando di posizionare le nostre strutture in punti strategici e neutrali, per offrire assistenza a tutti. Questo per noi è importante, perché nei conflitti non prendiamo mai parte, ma siamo lì per chiunque abbia bisogno di un aiuto sanitario. L’unica regola è che all'interno delle nostre strutture non entrino armi».

STRUTTURE SANITARIE COME BERSAGLIO

Oltre alle conseguenze dei conflitti sulla sanità e le cure oncologiche, l’attacco alle infrastrutture sanitarie è diventato sempre più comune nei conflitti a livello globale, con attacchi diretti agli ospedali segnalati in Siria, Sudan, Ucraina e Myanmar. Il Sistema di Sorveglianza degli Attacchi alle Strutture Sanitarie dell'OMS ha riportato 1920 eventi in Ucraina da febbraio 2022, tra cui il più rilevante è stato l'attacco con missili da crociera russi l'8 luglio 2024 contro l'Ospedale Okhmatdyt di Kiev, uno dei più grandi centri pediatrici dell’Ucraina, che fornisce cure oncologiche. L'attacco ha gravemente danneggiato i reparti di terapia intensiva e oncologia e distrutto il dipartimento di tossicologia, portando all'evacuazione di 600 pazienti e al ferimento di 300 persone. Tali eventi sono un drammatico promemoria delle sfide affrontate dagli oncologi, dal personale sanitario, così come dai pazienti e dalle loro famiglie in questi tempi di conflitto: «Le guerre in Ucraina e a Gaza l'hanno evidenziato ma, purtroppo, abbiamo recentemente celebrato i nove anni dall'attacco di uno dei nostri ospedali a Konduz, in Afghanistan, nel 2015. Da allora, sono molti i paesi in cui gli ospedali o il personale sanitario sono stati dei veri e propri target bellici. Purtroppo lo diventano perché, a livello strategico, si va a distruggere la possibilità di soccorso della popolazione civile. E lo abbiamo visto appunto in Afghanistan, in Siria, in Yemen, in Sud Sudan, in Etiopia, in Congo, come più recentemente sia in Ucraina che a Gaza» racconta Montaldo. «Si tratta di un fenomeno in crescita, nonostante secondo le Convenzioni di Ginevra, ospedali e personale sanitario non possano essere un target durante i conflitti e preoccupa che queste violazioni siano sempre più frequenti e impunite».

LA GUERRA COME CAUSA DI MALATTIA

Le conseguenze della guerra in ambito oncologico riguardano anche il rischio di sviluppare tumori negli anni seguenti. Infatti, esistono evidenze che dimostrano che le persone coinvolte in conflitti armati hanno una maggiore probabilità di ammalarsi di cancro. Alcuni esempi includono l'aumento dell'incidenza del cancro della cervice uterina in Vietnam e del cancro al seno nell'ex Jugoslavia dopo le guerre che hanno coinvolto questi paesi. Durante il periodo immediatamente successivo alla guerra in Croazia, è stato osservato un aumento dei casi di cancro gastrico e testicolare. In Iraq, i decessi legati al cancro sono aumentati di 4,9 casi all'anno, con un incremento del 50% della mortalità tra il 2001-2002 e il periodo 2003-2010, che includono i periodi del conflitto armato. «In Ucraina, l'amianto è stato messo al bando solo pochi anni fa e buona parte delle costruzioni, degli edifici, dei tetti, sono pieni di questa sostanza. Ogni volta che noi vediamo un tetto sventrato, un palazzo abbattuto, una casa saltata in aria, quello è sicuramente un ambiente nel quale c'è stato uno spargimento di quantità non note, ma non banali, di amianto. Questo vuol dire che, nei prossimi decenni, potrebbe essere osservato un forte aumento di casi di mesotelioma pleurico. Ad oggi, fortunatamente, non abbiamo in corso conflitti nucleari, ma è indubbio che la guerra produca agenti inquinanti, che distrugga l'ambiente oltre alle vite umane e, per questo, rappresenta un fattore di rischio per le malattie oncologiche, anche nei decenni successivi ai conflitti» spiega Perrone.

LA RICERCA CHE SI FERMA

Nella ricerca in ambito oncologico, la collaborazione tra scienziati di diversi paesi e anche le risorse economiche stanziate rappresentano dei punti fondamentali per il progresso. Anche se molti dei paesi direttamente coinvolti nei conflitti non hanno ruoli preponderanti nella ricerca scientifica, le guerre coinvolgono inevitabilmente i paesi vicini, minando gli scambi tra scienziati e risorse economiche: «Al momento, almeno in ambito oncologico, la ricerca non soffre particolarmente la presenza di conflitti. Tuttavia, si tratta di un'attività che ha bisogno di finanziamenti e collaborazioni a livello internazionale. Le guerre, in questo senso, agiscono un po’ come dei “distrattori”, per cui temo che i governi che sono impegnati nella gestione del posizionamento politico rispetto ai conflitti e nella mobilitazione di risorse economiche, come accade ora in Italia, non riescano a concentrarsi su temi come la ricerca. In sostanza, anche la ricerca diventa un ambito non più prioritario» spiega Perrone. «Tuttavia, l’oncologia ha un ampio accesso ai mezzi di comunicazione, essendo costantemente tra le prime aree di ricerca scientifica. Questo ci pone in una posizione privilegiata, da cui possiamo trasmettere messaggi che vanno oltre il nostro specifico ambito professionale, influenzando temi più ampi e di rilevanza sociale, come quello dei pazienti che si trovano coinvolti nel conflitti in tutto il mondo» conclude il presidente di AIOM.


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