Trent’anni fa l'introduzione della quadrantectomia che preserva l’integrità del seno, poi la scoperta del «nodo sentinella»: queste le tappe di una chirurgia tutta italiana che ha rivoluzionato la medicina. Di Alberto Luini
Ho avuto l’onore di partecipare, negli anni Settanta, agli studi sulla quadrantectomia ideati da Umberto Veronesi. Ciò che Veronesi ha fatto per la salute delle donne è una vera rivoluzione concettuale: non si è limitato a inventare una nuova tecnica chirurgica che preserva il seno in caso di tumore, ma ha indirizzato la cultura oncologica mondiale in più di una direzione.
UN MALE CURABILE- E’ stato il primo a dire: «Vale la pena di curare il cancro e, insieme, di assicurare la qualità della vita». Poi ha dimostrato che è un male curabile e l’ha reso un problema, sempre molto serio, ma non più terrorizzante e molto meno destinato a mutilare irrimediabilmente corpo e mente. Così è riuscito a conquistare la fiducia delle donne che, motivate dalla concreta speranza di una tutela della propria femminilità e non solo della salute, hanno aderito sempre più numerose alle proposte di diagnosi precoce con la quale la mortalità da tumore al seno si è ridotta drasticamente.
L’INTERVENTO AL SENO- L’8 febbraio 2011 il The New York Times ha pubblicato una notizia che ha rapidamente catturato l’attenzione del mondo: l’intervento chirurgico di asportazione dei linfonodi dell’ascella non sarebbe necessario in tanti casi di tumore al seno. Per cento anni, scriveva l’articolo, i chirurghi hanno tolto alle donne colpite da tumore i linfonodi dell’ascella, allo scopo di rendere massima la probabilità di guarigione della malattia, e non sempre sarebbe stato necessario. Perché la dissezione ascellare non è una cura per il tumore al seno, se non in casi selezionati. Il venti per cento delle circa quarantamila pazienti operate ogni anno negli Stati Uniti non avrebbe avuto beneficio dall’intervento chirurgico ascellare: l’affermazione si basa su uno studio su 891 pazienti che avevano un tumore al seno piccolo, in stadio iniziale (chiamati T1 e T2, cioè con dimensioni inferiori a due centimetri), con però la presenza di metastasi ascellari in almeno un linfonodo.
SOPRAVVIVENZA- Alle pazienti sono stati attribuiti in modo casuale due possibili trattamenti, cioè l’asportazione di almeno dieci (o più) linfonodi ascellari oppure nessuna chirurgia ascellare. Consapevolmente, ci si è quindi astenuti dalla chirurgia all’ascella in uno dei due gruppi per osservare le conseguenze. E il risultato è che non esiste differenza tra i due gruppi in termini di sopravvivenza, cioè a cinque anni di distanza la percentuale di sopravvivenza supera il novanta per cento in entrambi i gruppi. Anche la recidiva della malattia tumorale nell’ascella è stata simile nei due gruppi (meno dell’uno per cento).
LINFONO SENTINELLA- Analizziamo il significato di questo studio. La prima domanda è: l’intervento di asportazione di tutti i linfonodi dell’ascella ha la capacità di guarire la malattia? In altre parole: si tratta di una cura vera e propria per il tumore al seno? La risposta, a quanto pare, è no, ma questa per noi non è una novità. Prima ancora di dimostrare la validità della biopsia del linfonodo sentinella, il gruppo GRISO (Gruppo Italiano di Senologia Oncologica), coordinato dall’Istituto Europeo Oncologico (IEO), ha condotto una ricerca rivoluzionaria in questo senso.
QUADRANTECTOMIA- E’ stato uno studio che ha coinvolto diversi centri italiani e 435 donne con tumore al seno in stadio iniziale (1,2 cm): sono state sottoposte a quadrantectomia senza dissezione ascellare e, successivamente, è stato attribuito loro in maniera casuale un trattamento di radioterapia ascellare oppure un controllo regolare senza alcuna terapia ascellare (né chirurgia né radioterapia). In pratica, dello stato dell’ascella di queste donne non si sapeva niente: avrebbero potuto esserci focolai di tumore nei loro linfonodi ascellari, visto che l’ascella non era stata indagata con l’esame istologico. Le ricadute di tumore nell’ascella sono state pochissime, e la sopravvivenza a più di dieci anni nei due gruppi è identica. Ci siamo quindi accorti che effettuare una terapia sull’ascella nei tumori del seno di piccole dimensioni non cambia la probabilità di guarigione.
PRIMI AL MONDO- Dopo questo studio, abbiamo avviato la ricerca sulla biopsia del linfonodo sentinella: è il primo linfonodo che riceve la linfa dalla zona dove c’è il tumore ed è l’indicatore del passaggio di cellule tumorali nella via linfatica dell’ascella. Se il linfonodo sentinella è sano si può evitare di togliere tutti gli altri linfonodi perché la cosa più probabile è che siano sani. Dal 2000 in poi, grazie ai risultati del nostro studio randomizzato, primo nel mondo, la maggioranza delle donne con tumore al seno riceve la biopsia del linfonodo sentinella invece della dissezione completa dei linfonodi ascellari. Ma perché, se la chirurgia ascellare è inutile, abbiamo intrapreso la ricerca sul linfonodo sentinella? Perché continuiamo a prescrivere e effettuare la biopsia del linfonodo sentinella in migliaia di donne (la casistica IEO ha superato i ventimila interventi di questo genere)? La risposta è che se operare l’ascella in molti casi non è una terapia, l’informazione sullo stato di almeno uno dei linfonodi è importante per decidere quali terapie prescrivere alla paziente.
BIOPSIA- Le cure postoperatorie infatti devono essere mirate il più possibile, cioè personalizzate: non si applicano grossi protocolli standard che proprio perché standard non vanno bene per tutti, ma si comprende cosa sia meglio fare per ciascuna paziente. E le informazioni che orientano la decisione sono legate al tipo di tumore (la sua biologia, le sue caratteristiche specifiche), allo stato del linfonodo sentinella (è sano o malato?) e alla storia personale della donna. Ecco, per esempio, il motivo per cui nessuna donna affetta da tumore dovrebbe paragonarsi alle altre (evento molto frequente): non esiste un caso di malattia uguale all’altro, anche se le somiglianze superficiali farebbero pensare così. La biopsia di un linfonodo dell’ascella è un’informazione tanto importante che anche gli americani lo sottolineano nello studio rilanciato dal New York Times: l’informazione sullo stato del linfonodo sentinella è uno degli strumenti più precisi per conoscere lo stadio e le caratteristiche della malattia tumorale e quindi aiutare meglio i pazienti con le terapie mirate.
ITALIAN DOCTORS- In seguito alla pubblicazione dell’articolo sul New York Times, il quotidiano La Stampa ha riportato in prima pagina un commento di Umberto Veronesi dal titolo «Tumore al seno, vincono gli italian doctors». Veronesi ha ricordato con legittimo orgoglio che nel luglio 1981 proprio il New York Times ha raccontato la conquista della chirurgia conservativa, cioè il superamento della mastectomia a favore della quadrantectomia, grazie agli «italian doctors». La ricerca oncologica italiana ha dato il via a un corso di eventi importantissimi per la vita, la salute, la qualità della vita di milioni di donne. Milioni di persone, uomini e donne, perché sappiamo che il tumore al seno può riguardare, in percentuale inferiore, anche gli uomini, e anche perché la rivoluzione culturale oncologica ha poi «contagiato» altre specializzazioni che riguardano tumori diversi. Anni fa, insomma, qualcuno contro il parere dei più si è sognato di dire che il tumore potesse essere curato, e che la cura potesse rispettare la dignità e l’integrità fisica della gente: questo qualcuno era un medico italiano: Umberto Veronesi. Ricerca italiana e «italian doctors» hanno scritto una pagina della storia della medicina e dell’oncologia. E sono fiero di fare parte degli italian doctors.
CHI E': Alberto Luini è direttore della divisione di Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. Segretario della Forza Operativa Nazionale sul Carcinoma della Mammella (FONCAM), membro della European Society of Mastology (EUSOMA), professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Milano e presso la Scuola di Specialità in Oncologia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, membro del consiglio direttivo della Scuola Italiana di Senologia (SIS). Si è dedicato al trattamento chirurgico conservativo del carcinoma mammario.