Se per le ventenni il Pap test resta il primo passo, dai 30 in poi è più utile iniziare accertando la presenza del papillomavirus. Screening fondamentali per abbattere i casi di tumore cervicale
Lo avevano già messo nero su bianco i ginecologi italiani un paio di anni fa: per le donne con più di 30 anni è il test per l’Hpv lo strumento di screening numero uno. Ora gli esiti definitivi di un ampio studio che ha coinvolto 45mila donne confermano il dato e incoraggiano sulla strada verso nuovi modelli di prevenzione per i tumori del collo dell’utero, il secondo cancro femminile nel mondo, che in Italia colpisce 3500 donne l’anno.
LO STUDIO – I programmi di screening per i tumori della cervice uterina, ovvero i piani di controlli su donne apparentemente sane e senza sintomi specifici, dovrebbero partire dall’HPV-DNA test, un esame che rileva la presenza del Dna del papillomavirus umano, responsabile nelle sue diverse forme di oltre il 90% delle lesioni precancerose precancerose e della totalità dei cancri invasivi del collo dell’utero. E’ quanto concludono i ricercatori della Vrjie Universiteit di Amsterdam che hanno esaminato circa 45mila donne olandesi fra i 29 e i 56 anni. Come anticipato nell’edizione online di Lancet Oncology, l’esecuzione dell’HPV-DNA test ogni 5 anni ha permesso di intercettare più lesioni a rischio rispetto al solo Pap test, e quindi di ridurre il numero di lesioni di grado più avanzato e tumori veri e propri.
TEST PIU’ SENSIBILI, QUINDI MENO FREQUENTI? – Nel commento all’articolo, gli epidemiologi del National Cancer Institute di Bethesda (Usa), sottolineano che lo studio dà un’altra indicazione importante: per le donne negative al test Hpv il rischio è così basso che è sicuro aspettare 5 anni prima di sottoporsi a un nuovo controllo. Almeno in un contesto come quello olandese, specificano i commentatori, tutto è da vedere in altre popolazioni con altri fattori di rischio.
INTERCETTA LE LESIONI PERICOLOSE - «Questo lavoro conferma la maggiore sensibilità dell'HPV-DNA test rispetto al pap-test oltre i 30 anni» commenta Luciano Mariani, ginecologo oncologo dell’Istituto Regina Elena di Roma e membro dell’Italian Hpv Study Group. Ma, aggiunge l’esperto «Evidenzia inoltre come l'HPV-DNA test non identifichi le lesioni preneoplastiche regressive, ma quelle clinicamente rilevanti (cioè quelle che hanno realmente la potenzialità di trasformarsi), che possono quindi essere trattate impedendone l'evoluzione a cancro invasivo». Nel 2010 un'altra ricerca, questa volta italiana, apparsa su Lancet Oncology, confermava su un numero più che doppio di donne che il numero di cancri cervicali era minore nelle donne sottoposte a test virale rispetto a quelle sottoposte a Pap-test.
NON SERVE ALLE VENTENNI - I dati sono ormai più che evidenti, prosegue Luciano Mariani: «L’HPV-DNA test rileva circa il 30% di ciò che al Pap-test sfugge. E’ però poco utile, o addirittura dannoso, prima dei 30 anni, quando l’infezione da papillomavirus, trasmessa per via sessuale, è estremamente frequente e nella maggior parte dei casi regredisce da sola». In questa fascia d’età, meglio partire dal “vecchio” Pap-test e riservare il test virale ai casi a rischio.
DECISIVA LA COPERTURA DEL VACCINO ANTI-HPV - Molto poi potrebbe cambiare negli anni a venire in base alla copertura del vaccino contro l’Hpv, oggi offerto (con variabili regionali) alle ragazzine a partire dai 12 anni. «Per ora siamo intorno al 60% della popolazione target, molto meno rispetto, ad esempio, alla Gran Bretagna dove si supera il 90% - osserva Mariani -. Perché l’intero programma di vaccinazione sia efficace, l’adesione dovrebbe essere almeno all’80-85%». Il principio di base è che la combinazione fra vaccino diffuso e test più sensibili potrebbe ridurre la frequenza ottimale degli esami e il ricorso a indagini più invasive, come la colposcopia.
ECCO COME FARE PREVENZIONE – Se l’offerta di screening organizzato continua a prevedere un Pap test gratuito ogni 3 anni a partire dai 25 anni (un sistema che ha mostrato la sua efficacia abbattendo la mortalità per tumore cervicale), già oggi diverse Asl e ospedali italiani stanno portando avanti progetti pilota con la combinazione o l’alternanza dei due test. La tabella di marcia ottimale, secondo la Guida redatta dall’Italian Hpv Study Group, è la seguente:
- tra 21 e 25 anni si procederà solo su base individuale con il pap-test, personalizzando in base alla storia clinica di ciascuna donna;
- tra i 25 e 29 anni eseguire il pap-test ogni 3 anni praticando il test virale solo nei casi positivi;
- dopo i 30 anni invertire i due test, anteponendo l’HPV-DNA test e praticando il pap-test solo nei casi positivi.
Rimane, invece, ancora da disegnare in modo ottimale tra le figure professionali coinvolte nei programmi di screening, il percorso idoneo per le donne vaccinate.
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.