Il ruolo degli psiconcologi nell'assistenza ai bambini ucraini colpiti da un doppio trauma: la guerra e il tumore. L'esperienza dell'Ospedale Regina Margherita di Torino
L’avventura è cominciata il 5 marzo scorso, con l’arrivo dei primi 13 piccoli pazienti ucraini malati di tumore giunti all’Ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino con un volo umanitario. Altri poi se ne sono aggiunti nel tempo. A volte con fratelli, sorelle, sempre la mamma – in tutto oggi 60 - (e i maschi adulti della famiglia rimasti a combattere).
IL BISOGNO DI UN LINGUAGGIO COMUNE
Già il cancro, specie in un bambino, è malattia complessa da affrontare, ma se poi manca anche la parola comune, il dialogo…. Nessuno sapeva la lingua degli altri - i nuovi venuti e i terapeuti -, pochi con conoscenze di inglese o francese. Tante volte mancava anche la cartella clinica (scritta comunque in cirillico, da tradurre), solo qualche foglio volante. La partenza per tanti era stata una fuga. Ed eccoli allora questi stranieri, da un lato volonterosamente grati ma in molti casi istintivamente restii ad affidare i loro figli a degli “sconosciuti”.
IL RUOLO DELLO PSICONCOLOGO
«Siamo stati noi psiconcologi il primo contatto, subito insieme al medico, e siamo diventati nel tempo i mediatori di ogni bisogno di bambini e adulti presso tutti gli altri operatori dell’ospedale», racconta la dottoressa Giulia Zucchetti, responsabile della psiconcologia al Regina Margherita. «Abbiamo incontrato la loro naturale paura, di persone molto molto sofferenti colpite da un doppio trauma: la guerra e il tumore. E ora di fronte all’ignoto. Il primo approccio, il contatto “morbido”, se all’inizio anche solo con gesti, toccava a noi, che siamo psicologi e psicoterapeuti specializzati nel campo di pazienti oncologici».
LE FAMIGLIE PRESE IN CARICO
La psicologia è la terapia della parola… Allora, per reimpadronirsi tutti del “verbo”, dopo poco nell’ospedale è stato istituito un corso di alfabetizzazione per i piccoli malati e tutta la loro famiglia. «Del resto – spiega la dottoressa Zucchetti – lo facciamo con tutti i pazienti stranieri che ci arrivano. Ora stiamo cercando di portare avanti interventi psicologici per singoli e per nuclei familiari».
NON SOLO PAROLE
In caso di bambini, gli psiconcologi non hanno a disposizione solo la parola, altri sono i mezzi per comunicare: accade sempre con l’infanzia, ma ancora più con un’infanzia così gravemente malata. «All’inizio usammo degli apparecchi di traduzione automatica, poi abbiamo avuto gli interpreti… Ma così la relazione terapeutica diventava a tre, non più a due. Adesso con molti ci si intende bene», aggiunge Giulia Zucchetti. Ma all’inizio le madri erano sospettose proprio di lei e colleghi in quanto psicologi: cosa volevano sapere di loro? cosa volevano carpirgli? Ride la dottoressa Zucchetti: «Va a sapere che fama hanno gli psicologi in Ucraina… No, adesso si fidano, si lasciano accogliere. Se qualcuna all’inizio ha risposto male va capita, diffidenza, paura. Ci siamo avvicinati piano piano, con cautela».
LA PSICONCOLOGIA FA PARTE DELLA TERAPIA E DELL'ASSISTENZA
Con i malati di cancro, una patologia che spaventa e fa molto soffrire, il compito dello psiconcologo è sostanzialmente il supporto dell’io, del tirar fuori le risorse interne della persona e rafforzarle. Nel caso del bambino e dell’adolescente, con lui va supportata tutta la famiglia, è molto importante. I mezzi per far “parlare” il suo animo sono i disegni, dove si proiettano le tensioni interiori, il gioco simbolico, i pupazzetti allusione alla famiglia, le costruzioni per capire i suoi progetti futuri, la varietà dei colori, lo scotch e altro ancora. Con l’aggiunta di test proiettivi.
«Noi ci siamo sempre nel processo dell’oncologia pediatrica, in ogni fase, facciamo parte del discorso diagnostico terapeutico e assistenziale», spiega Zucchetti.
LE CONDIZIONI DEI BAMBINI UCRAINI
Come sono stati trovati i bambini venuti dall’ucraina dal punto di vista medico? «Qui sono stati riesaminati tutti. Alcuni, visto le traversie, erano comprensibilmente in ritardo col trattamento e si è dovuto intervenire presto e tanto. Perché appena la cura si ferma il tumore avanza. Altri erano francamente messi male. Con tutti si è intervenuti al meglio».
C’è qualcosa che l’ha colpita dei bambini che segue? «Oh, sono come i nostri, come tutti i bambini, vorrebbero uscire di qui e andare dalle famiglie che ospitiamo nelle nostre tre case di accoglienza. Quando non stanno male, sono vivaci come i loro coetanei sani o italiani».
Riprende la terapeuta: «Piuttosto mi colpisce come tutti, grandi e piccoli, dicano di continuo grazie. Lo dicono e lo ripetono in modo genuino. In effetti c'è tanta gente che si dà da fare, ci sono anche i volontari ad animare la vita in corsia, c’è la scuola, forse non sono abituati a ricevere tante attenzioni». Una frase che l’ha colpita? «La dice sempre, una mamma in inglese: “La sicurezza prima di tutto”. Poi abbiamo capito che intende la possibilità di salvarsi in due sensi: dalla malattia e dalla guerra».
(nella foto: il disegno di un giovanissimo paziente; tratto da The Ukrainian children emergency, Pediatric Blood& Cancer)
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.