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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 05-12-2023

Car-T e rischio cancro: attenzione alle facili interpretazioni


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Car-T

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L'FDA ha notificato un possibile aumento di secondi tumori dopo le cure Car-T. Il legame, ancora da dimostrare, non deve però far perdere di vista l'eccezionale efficacia dei trattamenti in pazienti senza alcuna possibilità di cura

Car-T e rischio cancro: attenzione alle facili interpretazioni

Le Car-T possono aumentare il rischio di sviluppare un secondo tumore? La domanda nasce da una nota dell'FDA -l'ente statunitense che approva la commercializzazione dei farmaci- in cui si comunica l'avviamento di un attento monitoraggio delle terapie Car-T in seguito ad alcune segnalazioni di casi di tumori del sangue in pazienti trattati con questi prodotti. Attenzione però a trarre facili conclusioni: come ribadisce FDA stessa, i vantaggi del trattamento con Car-T superano enormemente i rischi di sviluppare una seconda malattia. Ma c'è di più perché il possibile legame è ancora tutto da dimostrare: per gli addetti ai lavori le eventuali nuove neoplasie sviluppate potrebbero essere dovute ai numerosi trattamenti chemioterapici subiti prima di arrivare a ricevere le Car-T. 

CHE COSA SONO LE CAR-T?

Le Car-T, acronimo di Chimeric antigen receptor T cell, sono la forma più avanzata di terapia anticancro. Il trattamento Car-T consiste nel prelievo delle cellule T del malato allo scopo di modificarle in laboratorio per permettere loro, una volta infuse nel paziente, di riconoscere ed eliminare le cellule cancerose. La modifica in laboratorio prevede che i linfociti esprimano sulla propria superficie il recettore Car specifico nel riconoscimento delle cellule tumorali. Le Car-T, vere e proprie terapie anticancro personalizzate, negli ultimi anni hanno rivoluzionato la cura di diversi tumori del sangue che non rispondono alle terapie tradizionali. Sperimentata la prima volta nel 2012 presso il Children Hospital di Philadelphia su Emily, una bambina di 7 anni affetta da leucemia linfoblastica acuta, ad oggi sono già 6 le Car-T commercializzate (la prima in Italia è arrivata, come raccontato in questo articolo, nel 2019). Dal 2012 ad oggi si calcola che siano state oltre 30 mila le persone trattate con le Car-T.

LA NOTA DELL'FDA

In merito a queste terapie, in data 28 novembre 2023, l'FDA ha comunicato di aver avuto delle segnalazioni circa lo sviluppo di nuovi tumori diagnosticati in seguito a trattamenti con Car-T sia all'interno di trial clinici sia di somministrazioni di routine. Una comunicazione scarna, senza alcun numero relativamente alle segnalazioni, in cui però viene affermato in maniera chiara che i benefici apportati dalle Car-T superano enormemente gli eventuali rischi di possibile sviluppo -ancora tutto da dimostrare- di una nuova malattia oncologica.

L'IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO

«La nota dell'FDA -spiega la dottoressa Stefania Bramanti, Capo Sezione Terapia Cellulare (Car-t, trapianto autologo e allogenico) presso l'IRCCS Humanitas di Rozzano- deve innanzitutto essere vista come un fatto positivo circa il monitoraggio a lungo termine di queste terapie. Chi le riceve, nel tempo, è sottoposto a controlli ciclici per verificare che tutto proceda per il meglio. In Europa, ad esempio, abbiamo un attento servizio di sorveglianza attraverso il registro dell'EBMT (European Group for Blood and Marrow Transplantation). Oggi, tutte le persone che ricevono un trattamento, devono essere registrate in questo database. Si tratta di un servizio fondamentale per seguire i pazienti sul lungo periodo».

EFFETTO CHEMIOTERAPIA?

Venendo però alla questione che ha sollevato qualche perplessità tra gli addetti ai lavori circa la comunicazione dell'FDA, le Car-T possono realmente aumentare il rischio di sviluppare un secondo tumore del sangue? Al di là delle segnalazioni, uno dei potenziali rischi della terapia genica -le Car-T sono a tutti gli effetti dei prodotti ottenuti per inserzione di un gene all'interno delle cellule T- è quello di inserire il gene desiderato in un punto del Dna sbagliato. Questo, se avviene in prossimità di geni fondamentali nel regolare la crescita della cellula, può portare allo sviluppo di un tumore. Ecco perché negli anni chi si occupa di terapia genica ha sempre concentrato l'attenzione alla ricerca di metodi sempre più sicuri per veicolare i geni. Per quanto riguarda le Car-T, uno studio pubblicato nell'estate 2022 su Blood ha valutato gli effetti a lungo termine di queste terapie. Dalle analisi, effettuate su 340 pazienti seguiti per 5 anni dopo il trattamento, è emerso che le Car-T a vettore retrovirale non aumenterebbero il rischio di sviluppare un secondo tumore rispetto alle persone sottoposte a chemioterapia.

«L'eventuale sviluppo di secondi tumori in seguito a Car-T -prosegue l'esperta- potrebbe essere spiegato in termini di trattamenti precedenti. Soprattutto negli anni passati le persone che le ricevevano arrivavano alle Car-T dopo essere state trattate con molti cicli di chemioterapia. Questi trattamenti, lo sappiamo da tanto tempo, poiché agiscono a tappeto su tutte le cellule in fase di divisione possono aumentare il rischio di sviluppare un secondo tumore. Ecco perché una nuova diagnosi di tumore in seguito a Car-T potrebbe essere correlata anche ai pesanti trattamenti precedenti. Oggi, fortunatamente, la somministrazione delle Car-T può avvenire in alcuni casi in seconda linea evitando al pazienti molti cicli di chemioterapia».

UNA TERAPIA SALVAVITA

Ma un altro aspetto fondamentale da tenere a mente relativamente a quanto comunicato da FDA è la capacità di queste terapie di estendere notevolmente -e in alcuni casi guarire- l'aspettativa di vita dei pazienti. «Le Car-T hanno rivoluzionato il trattamento di diversi tumori ematologici. Prima del loro avvento, se le terapie standard non sortivano effetto, il paziente era avviato alle cure palliative. Con questi nuovi trattamenti, la persona che in passato aveva un'aspettativa di vita di 3 mesi ora può arrivare a sopravvivere diversi anni arrivando, in alcuni casi, alla guarigione. La possibilità che si sviluppi un secondo tumore, da monitorare attentamente, non deve farci perdere di vista il fatto che questi pazienti non sarebbero mai sopravvissuti così a lungo» conclude la Bramanti.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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