Diversi studi indicano la possibilità di ridurre le dimensioni del tumore e controllare la malattia grazie all'utilizzo delle Car-T. L'inizio di una nuova era?
La cura del glioblastoma sarà sempre più una questione di Car-T. Dopo anni di sostanziali fallimenti nel trattamento di questo tumore, nelle ultime settimane diversi studi hanno mostrato come l'utilizzo delle Car-T potrebbe cambiare il decorso della malattia. Attenzione ai facili entusiasmi: nessuna cura definitiva, per ora, ma i risultati pubblicati sul New England Journal of Medicine e Nature Medicine fanno ben sperare per il futuro.
CHE COS'È IL GLIOBLASTOMA?
Il glioblastoma, appartenente ai tumori della famiglia dei gliomi, è la neoplasia a carico del cervello più difficile da curare. Si tratta di una malattia che colpisce prevalentemente le persone dopo i 50 anni. Purtroppo, nonostante le terapie, solo il 25% dei pazienti è vivo ad un anno dalla diagnosi e circa il 5% a 5 anni. Ciò accade perché il glioblastoma, anche quando operato in tempo, presenta tassi di recidiva molto elevati. Non solo, quando il tumore si ripresenta è spesso resistente alle terapie.
COME SI CURA?
Attualmente il glioblastoma può essere affrontato con un triplice approccio: chirurgia per rimuovere il tumore, chemioterapia con temozolomide e radioterapia. Ultimamente alcuni studi hanno inoltre dimostrato, in un sottogruppo di tumori, l'efficacia seppur parziale dell'immunoterapia. Strategie di cura che comunque non hanno mai migliorato sensibilmente il dato della sopravvivenza alla malattia.
IL TENTATIVO CON LE CAR-T
Proprio per gli scarsi risultati raggiunti, da diverso tempo sono in fase di sperimentazione approcci alternativi nel trattamento del glioblastoma. Uno di essi è il trattamento Car-T, ovvero l'utilizzo delle proprie cellule del sistema immunitario -opportunamente modificate il laboratorio- ingegnerizzate allo scopo di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Un approccio che ha dato grandi risultati soprattutto per i tumori del sangue. Per quanto riguarda il glioblastoma l'idea di fondo è quella di modificare i linfociti T del paziente iniettandoli direttamente a livello cerebrale.
I RISULTATI DEGLI STUDI
Nello studio realizzato dai ricercatori del Massachusetts General Hospital, pubblicato sul New England Journal of Medicine, gli scienziati hanno trattato 3 pazienti con una Car-T capace di riconoscere il recettore EGFR presente sul tumore e non espresso nelle cellule sane. Al di là del piccolo gruppo di persone testate, la risposta al trattamento è stata impressionante: un uomo di 72 anni ha visto ridursi del 18% la massa tumorale in soli due giorni e a due mesi dal trattamento il tumore si è ridotto ulteriormente fino al 60% rispetto alla grandezza originaria. Un risultato straordinario -durato fino a 5 mesi dal trattamento senza registrare una nuova progressione della malattia- se si considera che nel glioblatoma, con i trattamenti oggi disponibili, è solo possibile evitare che il tumore aumenti di dimensione controllandone la crescita. In un alto caso, riguardante una donna di 57 anni, in due settimane si è registrata una regressione quasi completa della massa tumorale. Quanto rimasto però, nei mesi successivi, ha portato nuovamente il tumore ad ingrandirsi. Un risultato simile a quanto ottenuto anche nel terzo paziente.
Nel caso dello studio pubblicato su Nature Medicine, ad opera degli scienziati della University of Pennsylvania, i ricercatori guidati da Carl June -uno dei pionieri delle Car-T- hanno sperimentato queste cellule ingegnerizzate per colpire sia EGFR sia il recettore IL-13, altro bersaglio presente nel glioblastoma. In questo caso le Car-T sono state testate su 6 persone con un glioblastoma già in forma molto avanzata. Anche in questo caso si è verificata una riduzione della massa tumorale in tutti e 6 i pazienti. Un risultato anch'esso straordinario che si aggiunge a quello raggiunto dagli scienziati del City of Hpe di Los Angeles in cui, in un trial clinico di fase I, hanno dimostrato che una Car-T contro IL-13 è stata in grado di controllare la progressione della malattia in 29 pazienti su 58.
I PROSSIMI PASSI
Quanto raggiunto non rappresenta certo una cura definitiva per il glioblastoma ma, dopo anni di sostanziale fallimento, avere a disposizione una strategia in grado di ridurre le dimensioni del tumore rappresenta un punto di inizio. Capire quando somministrare le Car-T, ottimizzare la risposta utilizzando prima dell'infusione un ciclo di chemioterapia e selezionare meglio i pazienti in base al profilo molecolare del tumore sono alcuni dei punti che dovranno essere chiariti. Ma per la prima volta nel glioblastoma si comincia ad intravedere la possibilità di controllare la malattia.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.