Danno i risultati migliori contro il tumore al seno e per legge dovrebbero essere almeno 200 in Italia. Ma le breast unit sono ancora poche e le donne non sanno cosa sono
Sono considerate le strutture ideali per curare il tumore al seno. E sarebbe pure obbligatorio averle, da un anno a questa parte. Ma le breast unit, le realtà multidisciplinari indicate come la soluzione più efficace per curare la più diffusa neoplasia femminile, sono ancora poco diffuse nel nostro Paese. Non stupisce di conseguenza che anche le donne italiane conoscano poco il profilo di questi centri di senologia e il loro potenziale. «I centri di senologia multidisciplinari, che assicurano un 18% in più di sopravvivenza dal tumore al seno, non sono ancora operativi in metà delle Regioni», osserva Rosanna D'Antona, presidente della coalizione Europa Donna.
CURE PER IL TUMORE AL SENO:
COME SONO CAMBIATE NEGLI ANNI?
LE BREAST UNIT NELLE REGIONI ITALIANE
Le breast unit in Italia dovrebbero essere una realtà ormai da un anno. Secondo quanto previsto dalla Conferenza Stato-Regioni, infatti, lungo tutta la Penisola avrebbero dovuto essere attivate oltre duecento unità specializzate nella diagnosi e nella cura del tumore della mammella. Al suo interno, dovrebbero trovare posto diversi specialisti: oncologi, chirurghi senologi, chirurghi plastici, patologi, radiologi, radioterapisti e psicologi. Ma il processo, in realtà, è giunto a compimento soltanto in sette regioni: Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria, Valle D’Aosta e Veneto. Altre tre - l'Emilia Romagna, le Marche e la Toscana - hanno recepito le linee di indirizzo, ma non ancora individuato le strutture. Ben dieci - Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Trentino Alto Adige - sono invece ancora più indietro, non avendo nemmeno recepito l'indicazione a istituire le breast unit sui rispettivi territori regionali. Una conseguenza della gestione su base regionale della sanità, a cui s'è aggiunto anche il mancato controllo da parte dello Stato, che ha lasciato alle strutture il compito di autocertificare l'esistenza di una breast unit.
Tumore al seno: quanto prolungare la terapia ormonale adiuvante?
LA CONOSCENZA DEI MEDICI DI BASE
Da qui il sospetto che un numero indefinito di donne italiane non abbia ricevuto le cure adeguate per il proprio tumore al seno. «Al momento il settanta per cento dei casi vengono trattati in centri in cui si eseguono più di 150 interventi all'anno, che è poi lo standard indicato per i centri specializzati», afferma Corrado Tinterri, responsabile della breast unit dell'Istittuo Clinico Humanitas di Rozzano (Milano). «Facciamo però ancora fatica a far comprendere ai medici di base l'importanza di affidarsi a un centro multidisciplinare. Non è raro imbattersi in persone che preferiscono rivolgersi al centro più vicino, dove magari conoscono anche uno o più medici, senza considerare che le chance di guarigione dipendono anche dal volume dei casi trattati».
Tumore al seno metastatico: obiettivo cronicizzazione
DONNE ANCORA POCO INFORMATE
Viste tutte queste premesse, non stupisce allora che le donne conoscano ancora poco le breast unit. Soltanto l'otto per cento di quelle comprese tra i 40 e i 70 anni, secondo un'indagine condotta da Swg per Europa Donna, ha un'idea di cosa siano e di come funzionino questi centri multidisciplinari. Un dato che, sopratutto in ragione della diffusione della malattia, risulta insoddisfacente. Eppure le aspettative delle donne sono alte: il 68 per cento delle intervistate ha citato l'importanza di avere personale competente, sensibile ed empatico, il 77 per cento ha ribadito l'importanza di incrociare specialisti nella cura del tumore al seno, qualora ci si scoprisse ammalate. «Dobbiamo completare l'iter di realizzazione delle breast unit, ma anche farle conoscere - chiosa D'Antona -. Con queste strutture l'Italia non spenderebbe di più, anzi: riuscirebbe a ottimizzare i costi. E anche la consapevolezza e l'efficacia in termini di sensibilizzazione della popolazione crescerebbero».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).