Da una ricerca, che ha bisogno di altre conferme, si è stabilito che il litio agisce sulla mielina dei filamenti che connettono le cellule cerebrali. Presto una mappa dei punti focali dove agisce
Il litio è un farmaco d’elezione nel trattamento del disturbo bipolare, il disturbo che induce più o meno rapidi salti dalla depressione all’euforia e viceversa. E’ il principe degli “stabilizzatori dell’umore”. Funziona, si sa come dosarlo, ma non si sa per via di quale meccanismo agisca. Avviene con moltissimi farmaci, la cui validità è stata dedotta, e si vede, dagli effetti che producono. Anche dell’aspirina si è arrivati a sapere che cosa fa all’interno del nostro corpo decenni e decenni dopo che la si impiegava con successo.
INDAGINI IN AUTOPSIA - Certo, quando si arrivano a scoprire le cause per cui una sostanza cura un male, tanto di guadagnato: si possono aprire le porte per impieghi più mirati o per nuovi impieghi. Ecco perché è importante - se non ancora a livello dei pazienti – un indizio trovato da ricercatori della Technical University di Monaco in Germania. Guidati dal dottor Josef Lichtinger, hanno esaminato i cervelli di persone morte che erano state curate col litio e di altre che mai ne avevano assunto ed hanno trovato solo nei primi cadaveri concentrazioni di litio nella materia bianca del cervello.
«La sostanza bianca è costituita dalle guaine di mielina attorno agli assoni, che sono il prolungamento nervoso di un neurone e che lo mettono a contatto con le altre cellule, tipo dei fili elettrici, per intenderci», spiega il professor Carlo Altamura, ordinario di psichiatria al Policlinico di Milano. «La mielina è conduttrice di elettricità, fa comunicare i neuroni tra di loro, è dunque il motore dell’attività neuronale. Funzione importantissima».
Questo primo indizio colto dai ricercatori che cosa suggerisce? «Che forse nel disturbo bipolare vi sia un errore nella comunicazione elettrica tra cellule e che il litio agisca più sull’aspetto elettrico del cervello che sui neuroni in sé».
SCENDERE DALL’OTTOVOLANTE - Il professor Altamura continua: «Ci sono altri validi stabilizzatori dell’umore come il Lamictal (lamotrigina) e il Depakin (acido valproico) che sono nati come anti-epilettici. Questa loro capacità sembrerebbe accordarsi con l’ipotesi di un’azione di queste sostanze sulla conduzione elettrica, che da un lato frenerebbe gli attacchi epilettici e dall’altra, come il litio, farebbe scendere l’umore dall’ottovolante bipolare». Gli studiosi tedeschi hanno dichiarato che ora l’obiettivo è giungere a individuare una mappa di tutti i punti cerebrali dove agisce il litio. «E’ questo il da farsi – concorda Altamura -, ma stavolta ‘in vivo’, cominciando però dagli animali, le scimmie per esempio, dal cervello più simile al nostro. Si potrebbe ‘marcare’ il litio e seguirne poi i percorsi con i sofisticati mezzi di indagine di cui disponiamo. Per ora si sa che agisce sui “fili elettrici” e non sulla “centralina” neurone. Domani, con la “mappa”, si potrà fare un uso più sottile, e forse allargare l’azione, del prezioso litio».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.