Sotto esame i possibili effetti cognitivi della deprivazione androgenica utilizzata contro il tumore della prostata
È un’ipotesi ancora tutta da dimostrare, ma gli uomini che seguono una terapia di deprivazione androgenica contro il tumore della prostata potrebbero incorrere in un aumento delle probabilità di sviluppare l’Alzheimer negli anni a seguire rispetto a chi non fa questa cura. L’ipotesi è il frutto di uno studio ampio di due grosse strutture, l’Università di Pennsylvania e la Standford che hanno controllato i dati clinici in archivio arrivando a controllare quasi cinque milioni di persone tra cui 17 mila che avevano ricevuto una diagnosi di cancro alla prostata. Tra questi, 2.400 risultavano aver seguito la terapia antiandrogena, che consiste nel rallentare o bloccare la sintesi del testosterone, ormone prodotto in gran parte dai testicoli che stimola la crescita delle cellule tumorali della prostata.
NECESSARIE ALTRE PROVE
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology e non “provano” che la deprivazione androgenica aumenti il rischio di Alzheimer, occorrono ben altri studi ed evidenze – ricordano gli stessi autori - per arrivare a una simile affermazione. Tuttavia, aggiungono, vi sono diverse indagini che associano bassi livelli di testosterone alla possibile minor resistenza all’Alzheimer di una mente che invecchia. Altri effetti collaterali della Adt sono noti, come impotenza, obesità, diabete e depressione, ma è solo in anni recenti che si è considerato un possibile effetto di deficit cognitivi.
Tumore della prostata: una nuova "arma" dal testosterone?
PIU’ TEMPO, PIU’ RISCHI
I ricercatori americani scrivono che anche impiegando due diversi metodi statistici nel gruppo che si era sottoposto alla deprivazione androgenica i casi di Alzheimer negli anni seguenti erano significativamente più alti che nel gruppo di controllo. Gli studiosi dell’Università della Pennsylvania ipotizzano pure che il rischio della demenza sia proporzionale alla “dose” della cura: più lunga è, più si alza il pericolo. «È certamente vero che l’effetto sul decadimento cognitivo è abbastanza frequente», commenta il dottor Franco Gadda, urologo e andrologo dell’Ospedale Policlinico a Milano, «soprattutto nei pazienti grandi anziani che sono in terapia da anni. Penso che parlare dei possibili effetti sia un'informazione utile per il counselling al paziente prima di cominciare la terapia, soprattutto quando dobbiamo instaurare una cura antiandrogena dopo una terapia chirurgica o dopo trattamento radiante, perché il paziente potrebbe aver la necessità di proseguire per anni il farmaco antiandrogeno. E il tempo, parrebbe, conta».
Il testosterone si può prendere, ma solo sotto controllo medico
AVVISARE IL PAZIENTE
Bisogna anche considerare, nel fare previsioni, dice il dottor Gadda, da che famiglia viene il paziente, se già in famiglia ci sono carenze cognitive. Ad ogni modo bisogna investigare con delicatezza e parlare dei possibili effetti negativi con cautela. Non ci sono certezze. «Piuttosto, poiché il testosterone agisce sulla carica quotidiana, sull’aggressività, su aspetti del modo di porsi, questi pazienti possono anche cambiare psicologia. Divenire più pacifici per esempio».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.