I due disturbi appaiono spesso associati, ma l’umor nero che precede il manifestarsi della disfunzione motoria potrebbe essere solo il sintomo iniziale della malattia e non una causa
«Il messaggio che deve passare è questo: non è vero che la depressione porti al Parkinson». La dottoressa Vincenza Fetoni,responsabile dell’Ambulatorio per la malattia di Parkinson e disturbi del movimento al Fatebenefratelli di Milano, ritiene fondamentale questa affermazione. È vero, questo sì, che spesso i due disturbi appaiono associati. Addirittura, secondo una recente indagine pubblicata dalla ”National Parkinson Foundation” americana, nel 50 % dei casi. E l’impatto della depressione sulla salute delle persone con Parkinson e sulla qualità della loro vita, hanno aggiunto i ricercatori, «risulta quasi doppio rispetto a quello provocato dai problemi di movimento».
CAUSA O EFFETTO?
Ma questo rapporto stretto tra umor nero e malattia degenerativa come si pone? Mesi fa ha pubblicato i suoi dati lo psichiatra Albert Yang dell’Ospedale dei veterani di Taipei che ha guidato una ricerca durata dieci anni mettendo a confronto 4.600 persone sofferenti di depressione e 18.500 che ne erano immuni. Nel tempo si è constatato che nel primo gruppo la probabilità di ammalarsi di Parkinson appariva tre volte maggiore che nel secondo gruppo. E il rischio più elevato è parso concentrarsi sulle persone oltre i 65 anni di età e su quelle con una depressione resistente ai farmaci.
Mas il dottor Yang non ha tratto dal suo studio l’equivalenza: depressione uguale futuro Parkinson. Si è invece chiesto: «La depressione non sarà uno dei sintomi iniziali della malattia di Parkinson anziché esserne un fattore di rischio indipendente?». Dal dubbio, però, è scaturita una certezza che Albert Yang tiene a comunicare a tutti i medici: «Di fronte a un depresso anziano o a un paziente con depressione resistente ai farmaci, è altamente consigliabile fare prima il controllo del suo stato neurologico.
La depressione potrebbe anche essere soltanto un segnale di allarme». «È giusto - concorda la dottoressa Laura Musetti, ricercatrice alla Facoltà di Psichiatria dell’Università di Pisa -. Inoltre lo screening neurologico si raccomanda particolarmente con un paziente anziano depresso che mai ha avuto prima un disturbo dell’umore. Potrebbe risultare che c’è un’alterazione dei nuclei della base e da lì dipenderebbe lo stato di tristezza continua».
FORME MISTE? DUE TERAPIE
Molte volte, tuttavia, si hanno forme miste tra Parkinson e depressione. «In tal caso -spiega la Musetti - si fanno le due terapie per le due malattie. Le linee guida consigliano gli Ssri (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) come antidepressivi, ma forse i triciclici, farmaci più vecchi, agiscono in modo migliore. Inoltre parliamo di “parkinsonismi”, specie per quanti soffrono di disturbo bipolare o che hanno fatto cure con neurolettici di vecchia generazione: i sintomi tipici del Parkinson sono qui indotti dai farmaci. O da problemi vascolari».
LA PRIMA CURA
Districarsi tra i due disturbi non è facile. Ma già il primo passo potrebbe diradare la nebbia. «Si deve partire curando l’aspetto motorio - dice la dottoressa Fetoni -. Dopo, il paziente può dire: mi sento meglio, sono sereno. In altri casi, invece, bisogna ricorrere anche agli antidepressivi. Nel Parkinson c’è una disfunzione sia del sistema dopaminergico (che è legato ai movimenti) sia del sistema serotoninergico. Il fatto è che dopamina e serotonina sono due neurotrasmettitori basilari per il tono dell’umore: dunque, in seguito al Parkinson può prodursi una depressione endogena, biochimica». A conclusione Vincenza Fetoni tiene a sottolineare di nuovo: «Resta che non si può dire: soffri di depressione, quindi soffrirai anche il Parkinson». E meno male.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.