Chi è colpito dalla malattia ha un rischio di cadere più alto della media, anche 10 anni prima della diagnosi. I ricercatori a caccia di biomarker per migliorare la diagnosi
La malattia di Parkinson, quando si manifesta in modo da permettere una diagnosi, è già presente nell’organismo da anni e anni. La stessa situazione che si ha con il morbo di Alzheimer. Molte équipe di ricercatori sono all’inseguimento di un segnale, un sintomo che “tradisca” questa presenza quando è ancora sotterranea, permettendo così un intervento precoce e indirizzando anche la ricerca di nuovi farmaci. In Svezia un gruppo di studio dell’Università di Umea ha seguito la traccia delle cadute rovinose, che sono frequenti in chi ha il Parkinson, spesso con la frattura dell’anca. Indagando su 25 mila malati manifesti e ripercorrendo la loro storia clinica all’indietro, hanno riscontrato un rischio più alto del 19 per cento, rispetto al gruppo di controllo, di cadute che hanno richiesto di correre al pronto soccorso e questo fino a dieci anni prima della diagnosi. Gli autori stessi dell’indagine - pubblicata su Plos Medicine - sottolineano che questi dati devono essere confermati da altri studi, ma quantomeno gettano una luce sulla lunghezza della fase latente. Anche 15 anni.
LA PROTEINA ANOMALA
Dalla Svezia agli Stati Uniti. Qui, alla Mayo Clinic dell’Arizona, hanno tentato un’altra via con uno studio pilota su 25 pazienti che avevano ricevuto la diagnosi del Parkinson meno di cinque anni prima. La via è quella di una biopsia praticata sotto la mandibola arrivando alla ghiandola salivare per cercare la presenza della proteina anormale del Parkinson, la alfa sinucleina fosforilata. In effetti questa proteina è stata trovata in 14 dei 19 pazienti dai quali era stato estratto una quantità di tessuto sufficiente da analizzare. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista ufficiale dell’Associazione internazionale del morbo di Parkinson, Movement Disorders. Gli stessi ricercatori, guidati dal dottor Charles Adler, in precedenza avevano fatto uno studio su malati di Parkinson nella fase iniziale constatando che il 45 per cento delle diagnosi erano errate. Perciò – sottolineano – sarebbe importante trovare un biomarker per le prime fasi manifeste del morbo, in quanto i sintomi si prestano a varie interpretazioni.
UN’ALTRA BIOPSIA
«E’ molto interessante questa prova della biopsia sottomandibolare. Altri stanno tentando con la biopsia dei villi intestinali», commenta la neurologa Vincenza Fetoni, responsabile dell’ambulatorio per i Disturbi del movimento all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. «Il segnale di riferimento cercato è sempre la proteina anomala alfa sinucleina fosforilata che si accumula nei neuroni, ma che è stata ritrovata anche nella mucosa del colon e nella mucosa gastrica. In effetti, nel Parkinson si può soffrire di stipsi importanti e di disturbi grastroenterici».
UNA TERAPIA PER LA DIAGNOSI
Attualmente per il “morbo del movimento” la diagnosi è solo clinica: la “lettura” di sintomi come i tremori, la rigidità, disturbi dell’olfatto… «A questo si aggiunge la prova con un farmaco: la diagnosi è confermata se il paziente mostra una risposta duratura alla terapia con la levodopa», spiega la dottoressa Fetoni. «Se lo studio pilota della Mayo Clinic aprisse una via sicura vorrebbe dire indicare la strada per arrivare finalmente a farmaci curativi e, comunque, significherebbe poter fare diagnosi precoci. Allora i sintomi già in una prima fase potrebbero essere alleviati dalle medicine esistenti».
E il possibile “segnale” delle cadute rovinose e ripetute anche anni prima di un Parkinson evidente? «Possono essere un campanello di allarme, certo. La caduta può essere un sintomo pre-motorio, che “anticipa” l’evidenziarsi della malattia come pure i sintomi della stitichezza e dei problemi di olfatto, Man mano poi che la malattia avanza, le cadute sono frequenti e i malati non sanno neanche dire perché sono caduti. Il fatto è che c’è un’alterazione di tutto l’equilibrio. Il Parkinson è una malattia sistemica, di cui il cervello è solo una parte».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.