Il microbioma svolge un ruolo fondamentale nella salute di un individuo. La secrezione di alcune molecole da parte dei batteri potrebbe essere implicata nella propensione a svolgere attività fisica. Lo studio pubblicato su Nature
Essere pigri o sportivi è anche questione di pancia. Più precisamente di microbioma, i miliardi di batteri che popolano il nostro intestino. Potrà sembrare una provocazione ma uno studio appena pubblicato sulle pagine della rivista Nature -per ora confinato al solo modello animale- ha dimostrato che la composizione del microbioma e le molecole che ne derivano può influenzare l'attitudine o meno a fare esercizio fisico. Un risultato curioso -la motivazione a fare sport non passa certo solo dalla flora intestinale- che mostra però ancora una volta lo stretto legame dell'asse intestino-cervello.
A COSA SERVE IL MICROBIOMA?
Che il microbioma -questo il termine tecnico per indicare il complesso di batteri che popolano l'intestino- sia di fondamentale importanza per la salute del nostro corpo è cosa nota. Da anni sappiamo infatti che senza questa “ingombrante” presenza non potremmo vivere. I microrganismi, infatti, sono tutt’altro che attori invisibili. Senza di loro -ad esempio- il nostro corpo non avrebbe a disposizione la giusta quantità di vitamina K, fondamentale nel processo di coagulazione del sangue e del fissaggio del calcio nelle ossa e, quindi, necessaria alla sopravvivenza. Nell’intestino c’è un costante equilibrio tra specie di microrganismi “buoni” e altri “cattivi”. Quando l’ago della bilancia è spostato verso una prevalenza di quelli “buoni”, anche se siamo sotto l’attacco di un agente esterno riusciamo a resistere. Invece se prevalgono i “cattivi” diventiamo più vulnerabili e suscettibili alle infezioni e -di conseguenza- ci ammaliamo. Non solo, la composizione -come recentemente dimostrato- può influenzare la buona risposta alle terapie anticancro.
LO STUDIO
Partendo dal presupposto che le alterazioni del microbioma possono influenzare diversi aspetti, gli scienziati della University of Pennsylvania hanno provato ad indagare se e come i cambiamenti nella composizione della flora sono in grado di alterare il comportamento in termini di attitudine all'esercizio fisico. Per farlo hanno osservato la propensione ad utilizzare la ruota da parte di topi completamente identici da un punto di vista genetico. Alcuni tra i più attivi "correvano" fino a 5 volte di più, inteso come distanza percorsa, rispetto ai più pigri. Sottoposti a trattamento antibiotico in grado di alterare la flora, i più attivi hanno incominciato a "correre" meno. Successivamente i ricercatori hanno provato a "trapiantare" i batteri intestinali dei topi più attivi in topi programmati per non possedere il microbioma. Una volta ricevuti, questi sono risultati maggiormente propensi a muoversi. Infine la ricerca si è concentrata su un gruppo di cellule nervose che collega l'intestino al cervello individuando nel neurotrasmettitore dopamina l'attore principale di questo effetto. Gli scienziati hanno poi scoperto che stimolando particolari fasci di neuroni attraverso alcune molecole secrete dai batteri intestinali -le ammidi degli acidi grassi- era possibile indurre la "voglia" di esercizio fisico, attraverso la secrezione di dopamina, anche in quei topi privi di microbioma. Una prova diretta di come i microrganismi riescano a modulare l'attività cerebrale attraverso l'asse intestino-cervello.
MA L'UMANO È ALTRA COSA
Risultati importanti, quelli pubblicati su Nature, che non devono però indurre nell'errore di voler replicare quanto ottenuto anche nell'uomo. «Ci vuole cautela ad estrapolare quanto ottenuto nei topi con i processi fisiologici che accadono negli umani» spiega Juleen Zierath, fisiologa del Karolinska Institute. Struttura muscolare e processi biochimici cellulari sono infatti differenti tra uomo e roditori. Un dato è però certo: la dopamina, come dimostrato in molti studi, è il neurotrasmettitore di base dello stimolo motivante. Che venga innescato dalla "pancia" è una possibilità.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.