Una nuova tecnica mostra le connessioni della materia bianca del cervello, diverse per ognuno di noi. Nei gemelli solo il 12 per cento è identico
Il cervello è come l’impronta digitale: unico per ciascuno di noi. Rappresenta l’identità in modo inconfondibile. Non che questo lo renda adatto ad un uso investigativo nelle detective stories, ma arriva a confermare le investigazioni degli scienziati che da tempo avevano formulato questa ipotesi: ogni individuo una testa diversa. Solo che ora uno studio ha mostrato la prova concreta, in immagini. Anzi, in imaging, come si dicono le ultime tecnologie.
In questo caso gli studiosi della Carnegie Mellon University di Pittsburgh hanno impiegato un nuovo strumento, la risonanza magnetica di diffusione («è un’applicazione della Rmi che dà immagini sulla diffusività molecolare», ci spiegherà poi il neuroradiologo Marco Grimaldi) ed hanno così confrontato il connettoma locale di 699 cervelli secondo cinque parti del cervello. Il connettoma locale è costituito dalle connessioni punto per punto dei percorsi della materia bianca, il tessuto del cervello da cui dipende il coordinamento delle funzioni delle varie aree cerebrali.
BEN 17.000 TEST
Gli scienziati, il cui studio è comparso su Plos Computational Biology, per sicurezza hanno compiuto ben 17.000 test di identificazione e la unicità del connettoma locale individuale è risultata provata all’incirca al 100 per cento. In pratica è “l’impronta digitale” del cervello. Non si tratta però di una unicità immobile: i vissuti, le malattie, gli studi modellano il connettoma locale di modo da farne la “storia” della nostra vita. Molto interessante su questo fronte la vicenda dei gemelli: quelli identici (omozigoti) sono risultati avere soltanto il 12 per cento di connettoma locale uguale: il resto della loro “impronta digitale cerebrale” viene forgiato dalla vita nel tempo, a un ritmo di cambiamento intorno al 13 per cento ogni cento giorni.
GENI E VITA
«Questo tipo di risonanza, che permette di arrivare vicini come mai prima ai “fili” che costituiscono le diverse reti cerebrali, rende possibile studiare quanto vi è di genetico e quanto di indotto dall’ambiente nella formazione della mente», ha puntualizzato Fang-Cheng Yeh, prima firma della ricerca e assistant professor di chirurgia neurologica all’Università di Pittsburgh. «E la cosa eccitante è che possiamo applicare questo nuova tecnica a dati che già abbiamo, frutto di ricerche precedenti, e trovare nuove informazioni che sono già qui, sotto i nostri occhi, ma non colte, inesplorate».
LE DISFUNZIONI PIU’ CHIARE
«Conoscere da vicino come “si crea”, funziona il cervello, permette anche di conoscerne le disfunzioni, com’è che qualcosa non va», commenta Marco Grimaldi, responsabile della Neuroradiologia all’Humanitas Research Hospital di Milano. «Conta per le malattie. Ma ci sono altre parti importanti: noi sapevamo che per ogni cosa imparata si creano nuove connessioni, ora però i ricercatori di Pittsburgh ce lo mostrano in modo oggettivo. Lo vediamo. Le malattie neurodegenerative agiscono distruggendo le connessioni tra le cellule cerebrali. Perciò una più alta scolarità, l’imparare sempre cose nuove crea una difesa, una più lunga resistenza: perché accumula nel cervello più connessioni. Dai dati sui gemelli omozigoti si vede quanto conti l’influsso della vita che si fa. D’altra parte si consideri che il cervello usa il 20 per cento di tutta l’energia che spendiamo».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.