Individuati nelle meningi gli anticorpi (IgA) che solitamente si ritrovano nell'intestino. Potrebbero essere questi a difenderci da meningiti ed encefaliti
«Quel politico vuol parlare alla pancia degli elettori». «Me lo sento di pancia che questo non è vero». «Ho preso questa decisione con la pancia, senza riflettere». Queste espressioni circolano nel linguaggio comune e forse è azzardato pensare che vengano da un sapere inconscio. È un fatto però che le ricerche d’avanguardia sul cervello sempre più spesso chiamano in causa la «pancia», l’intestino, mostrando i due organi, così distanti nel corpo, legati da un filo diretto. Si parla da tempo, per l’intestino, di «secondo cervello».
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LA DIFESA PER IL CERVELLO SI FORMA NELL'INTESTINO
Ora è la volta di un’indagine sulla sicurezza rispetto alle infezioni della nostra materia grigia che si scopre essere protetta da microrganismi «istruiti» a tale scopo dentro l’intestino, appunto. È uno studio su modelli animali, i topi, scelti perché come fisiologia presentano molte caratteristiche simili a quelle nel nostro corpo. Ma l’indagine è stata completata con esami di campioni umani estratti durante gli interventi chirurgici e le conclusioni appaiono combaciare. Dalle ingiurie esterne il nostro cervello appariva protetto da una solida scatola di osso, il cranio, e da tre strati di tessuto a tenuta stagna detti meningi. Ma la protezione da virus e batteri? Un mistero.
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LE MENINGI NON SONO SOLTANTO UN RIVESTIMENTO
Nel resto del corpo, se arrivano questi organismi infettanti (attraverso la circolazione sanguigna), si mette in moto il sistema immunitario che, con le cellule del sistema immunitario e gli anticorpi, individua gli invasori e li elimina. Ma per il sistema nervoso centrale, le meningi formano una barriera impermeabile che non permette l’ingresso delle cellule immunitarie. E allora? Nello studio pubblicato su Nature, un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge (Gran Bretagna) e del National Institute of Health (Stati Uniti) racconta di aver scoperto che le meningi ospitano proprie cellule immunitarie chiamate plasmacellule, che secernono anticorpi. Queste cellule sono proprio posizionate vicino ai vasi sanguigni grandi che scorrono dentro le meningi, così da poter secernere i loro anticorpi come «guardie» che difendono il perimetro del cervello. Studiando quegli specifici anticorpi, i ricercatori sono rimasti sorpresi dopo aver scoperto cellule analoghe a quelle che si trovano nell’intestino.
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IgA RILEVATE ANCHE NELLE MENINGI
Le plasmacellule derivano da un particolare tipo di cellule immunitarie, dette cellule B. Ognuna ha sulla sua superfice un anticorpo tipico solo di quella cellula. Se un antigene (la parte di un batterio o un virus che stimola una risposta immunitaria) si lega alla superficie dell’anticorpo, la cellula B si attiva. E così si divide moltiplicandosi in cellule che riconoscono, anch’esse, lo stesso antigene. Normalmente, gli anticorpi che si trovano nel sangue sono le Immunoglobine G (IgG), prodotte dalla milza e dal midollo osseo (gli anticorpi che proteggono il corpo). Invece gli anticorpi trovati nelle meningi - su modelli animali e su campioni umani, in vitro - erano Immunoglobuline A (IgA), che di solito sono prodotti nel rivestimento dell’intestino o del naso e dei polmoni: così da proteggere le mucose, le superfici cioè che si interfacciano con l’ambiente esterno. In altre parole, le cellule che finiscono nelle meningi sono quelle che si sono selettivamente moltiplicate nell’intestino, dove hanno imparato a riconoscere particolari patogeni. «Il modo esatto con cui il cervello si difende dalle infezioni, al di là della barriera fisica delle meningi, è stato finora un vero mistero. Ma scoprire che un’importante linea difensiva comincia nell’intestino è una vera sorpresa», commenta Menna Clatworthy, docente di immunologia traslazionale all’Università di Cambridge.
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ANTICORPI «ADDESTRATI» NELL'INTESTINO PER PROTEGGERE IL CERVELLO
«Adesso però se ne capisce il senso - continua l'esperta -. Anche una minuscola breccia della barriera intestinale permetterebbe a qualunque virus o batterio di entrare nella circolazione sanguigna con conseguenze devastanti, in caso di raggiungimento del cervello. “Seminando” le meningi con cellule che producono anticorpi già selezionati a riconoscere i microbi dell’intestino assicura una valida difesa contro i più probabili invasori». Nel loro esperimento con modelli animali, i ricercatori hanno mostrato che quando non c’erano batteri nel loro intestino, le cellule produttrici di IgA erano assenti dalle meningi. Evidenziando così che queste cellule nascono nell’intestino dove vengono allenate a riconoscere i microbi dell’intestino, prima di stabilirsi nelle meningi. Quando i ricercatori hanno tolto le cellule plasmatiche dalle meningi (quindi non era presente nessuna IgA per contrastare i microbi), questi sono entrati dal sangue dentro il cervello.
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IL CERVELLO COME ELEMENTO DEL SISTEMA IMMUNITARIO
Gli scienziati hanno poi confermato la presenza di IgA nelle meningi umane analizzando porzioni di cervello tratte da pazienti operati e dimostrando che questa difesa molto probabilmente svolge un ruolo importante nel difenderci da infezioni del sistema nervoso centrale, come meningiti ed encefaliti. «In passato si credeva che il cervello fosse fuori dal mondo dell’immunità: non se ne conoscevano le difese, i nostri docenti lo dichiaravano una cattedrale inespugnabile - afferma Stefano Pallanti, professore associato all’Università di Firenze e docente di psichiatria e di scienze umane alla Stanford University (Stati Uniti) -. Il cervello era considerato fondamentalmente composto dai neuroni e dalle cellule della glia, che fungono da sostegno. Delle meningi si pensava che fossero soltanto un rivestimento. Ora c’è questa scoperta importante di un sistema immunitario al di dentro del cervello, nelle meningi. E l’immunoglobina viene addestrata nell’intestino perché lì maggiore è la permeabilità con l’esterno e, dunque, più frequenti e vari gli incontri con agenti estranei. L’importanza del microbiota si va affermando sempre più in questi ultimissimi anni. Una prospettiva può essere questa: e se riuscissimo noi a “istruire” gli anticorpi adatti al cervello, per curarlo?».
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Si tratta di un appello anche alla comunità degli psichiatri, che finora basa la diagnosi e la cura su sintomi comportamentali raccontati dal paziente. Bisognerebbe guardare anche ai risultati delle neuroscienze, ai sintomi «fisici» che esse svelano, procedendo verso una neuropsichiatria. Pallanti fa un esempio citando l’autismo: «Se un bambino autistico ha problemi intestinali, curando questi con probiotici e antinfiammatori si registra un miglioramento degli altri sintomi. Nella depressione maggiore resistente ai farmaci se vi sono problemi intestinale le terapie sono meno efficaci. Ma bisogna imparare a guardare anche al di fuori della testa. Purtroppo non sappiamo bene come è la normalità sana del microbiota: abbiamo solo indicazioni, non certezze».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.